In evidenza

Alluvione Marche: L’Intervista al geologo Fabrizio Moscè

L’alluvione che ha tragicamente colpito nella notte tra il 15 e il 16 settembre scorso la Regione Marche, coinvolgendo in modo particolare le province di Ancona e Pesaro Urbino, apre uno scenario sulla ricerca delle responsabilità. Dopo la dolorosa conta di 12 morti, 1 disperso, 50 feriti e oltre 150 persone sfollate la Procura di Ancona ha aperto un’ inchiesta: la procuratrice capo Monica Garulli, riguardo la dinamica degli eventi, ha dichiarato  che non c’è stata allerta da parte della Regione nei confronti dei Comuni. In attesa degli sviluppi dell’inchiesta non resta che domandarci se anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una tragedia annunciata. In un Paese come l’Italia, perennemente in campagna elettorale, i temi dell’ambiente e della sua salvaguardia, del monitoraggio delle criticità dei territori, della valutazione e prevenzione dei rischi di dissesto idrogeologico sono sempre presenti nei programmi elettorali. Di fatto la cronaca ci presenta il conto con tragedie come quella che stiamo vivendo in questi giorni drammatici, dove gli abitanti dei comuni colpiti come Sassoferrato, Barbara, Cantiano, Frontone, Cagli, Pergola, Castelleone di Suasa, Ostra, Serra Sant’Abbondio, Senigallia e Trecastelli attendono una risposta chiara. Nell’epoca del Green Washing, dell’ambientalismo di facciata così alla moda e molto social, non c’è più tempo da perdere. Ne parliamo con il fabrianese Fabrizio Moscè, questa volta non nella consueta veste di naturalista e storico del territorio, ma in qualità di geologo con passate esperienze nel settore dell’idrogeologia.

L’alluvione che ha tragicamente colpito le Marche nei giorni scorsi, ha sollevato una questione di responsabilità riguardo una mancata allerta o possibili previsioni metereologiche errate. Secondo te era un evento meteorologico prevedibile o quantomeno annunciato?

Gli eventi meteorologici estremi stanno diventando sempre più frequenti a causa dei cambiamenti climatici ma i singoli episodi diventano difficili da seguire e da prevedere perché scaricano la loro violenza su parti limitate del territorio ed in modo imprevedibile. Se vuoi è un pò quello che succede con i terremoti, sappiamo che ciclicamente si ripetono ma non sappiamo dire con certezza quando e dove colpiranno. Questo non vuol dire che non si possa far niente, tutt’altro, ma la soluzione deve individuarsi nelle opere di prevenzione sul territorio e in un codice di comportamento da parte dei cittadini. A lungo termine e a livello globale invece, si dovrà necessariamente raggiungere una nuova impostazione dell’economia.

Nel caso specifico si può definire solo una calamità naturale o sono individuabili delle responsabilità dell’uomo? E se ci sono delle responsabilità, quali comportamenti dell’uomo che incidono sull’ambiente possono essere causa di questi eventi irreparabili?

Ci sono due gradi di responsabilità da parte dell’uomo. Il mondo scientifico è praticamente unanime nel ritenere che le emissioni di gas serra dovute all’attività umana abbiano come conseguenza il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici. Oggi il mondo si sta riscaldando più rapidamente di quanto sia mai avvenuto nella storia registrata; le temperature crescenti oltre a provocare siccità, come quella che questa torrida estate ci ha fatto ben conoscere, cambiano gli schemi di circolazione atmosferica su larga scala con conseguente aumento delle precipitazioni di grande intensità sempre più concentrate nel tempo e in aree limitate alle nostre latitudini. Sia ben inteso, non che in passato eventi estremi non si siano verificati, ma negli ultimi decenni stiamo assistendo ad un preoccupante aumento degli stessi. Oltre questo chiaramente ci sono responsabilità dirette sulla gestione del territorio.

Possiamo pensare ad una poca attenzione da parte dei governi dei territori alle criticità degli stessi, in sintesi, a scelte politico ed economiche sbagliate in questo ambito?

Certo. Basti pensare che il 94% dei comuni italiani è a rischio dissesto idrogeologico con milioni di persone che abitano in aree ad alta pericolosità; purtroppo ogni volta che si verifica un evento estremo siamo a contare le vittime. Si è sempre investito poco, molto poco ed a tutti i livelli nella reale riduzione del rischio.

Parlando del comprensorio di Fabriano, che tu conosci e studi da anni come storico e geologo, quali sono le criticità più evidenti che meriterebbero maggiore attenzione a livello di prevenzione?

Il Comune di Fabriano è compreso in quel 94% di comuni italiani a rischio dissesto idrogeologico. Oltre al fatto che abitiamo in un’area ad elevato rischio sismico, ci sono criticità come ad esempio l’instabilità di molti versanti sui quali come sappiamo spesso si verificano fenomeni franosi. Anche il reticolo idrografico non è ben gestito; se è vero che buoni lavori di manutenzione sono stati eseguiti in molti tratti del Torrente Giano, peraltro vorrei sottolineare l’ottimo recupero storico naturalistico condotto dai ragazzi di Passeggiando tra la Storia in zona San Lorenzo, altrettanto non si può dire per il reticolo idrografico minore dei fossi e ruscelli suoi affluenti, la maggior parte dei quali versano in uno stato di completo abbandono. Non possiamo considerare nessun corso d’acqua immune dal rischio esondazione. Riguardo il Torrente Giano c’è da dire che le condizioni sono sensibilmente cambiate rispetto al passato. Fino ai primi decenni del ‘900 i versanti montuosi erano pressoché spogli per l’intenso sfruttamento della montagna, è sufficiente guardare qualche foto d’epoca per rendersene conto, questo faceva si che le intense precipitazioni si riversassero velocemente e con violenza nel fondovalle e quindi nei corsi d’acqua. Oggi una spessa copertura boschiva ricopre i rilievi, questo mitiga l’effetto poiché la vegetazione sui versanti rallenta la corsa dell’acqua verso i fiumi distribuendola gradualmente, quello che in gergo tecnico è definito “tempo di corrivazione”. Detto questo è chiaro che neanche il nostro Giano può considerarsi pronto a sopportare eventi di estrema intensità, quindi si gioca tutto nella mitigazione del rischio, ovvero nella progettazione e realizzazione di opere che se non annullano gli effetti disastrosi di un’esondazione quantomeno ne riducono sensibilmente l’intensità.

Con il Comitato “Alla scoperta del Giano” avete per anni monitorato lo stato di salute del nostro fiume cittadino, un tempo parzialmente “tombato” e coperto in alcuni tratti in centro storico. La copertura può peggiorare ed amplificare i danni in caso di un’eventuale esondazione? 

In linea generale le tombinature, così come le altre cementificazioni dei corsi d’acqua, peggiorano la situazione, tanto che al giorno d’oggi rappresentano soluzioni tecniche sempre meno adottate. A Fabriano il progetto di recupero prevede una nuova copertura del tratto di Via Filzi/retro Mercato Coperto, soluzione tecnica derivata da uno studio idrologico e idraulico, l’ormai famosa “Relazione Mancinelli”, che appunto individuerebbe nella tombinatura una mitigazione del rischio di esondazione nel centro storico utilizzando gli orti della Canizza come zona di espansione dell’ondata di piena.  Se dal punto di vista teorico chiaramente il calcolo risulta esatto nella realtà, a mio modo di vedere, presenta dei punti quantomeno discutibili, due dei quali vorrei provare brevemente a spiegarli. Innanzi tutto i dati di portata utilizzati nel programma di calcolo non derivano da misurazioni dirette nel corso d’acqua, cosa mai effettuata nel Giano, ma ricavati indirettamente da rilevazioni pluviometriche, cioè dalle piogge registrate fra il 1928 e il 1989; la valutazione di conseguenza non risulterebbe adeguatamente tarata per portate eccezionali che invece potranno verificarsi a seguito dei cambiamenti climatici e relativi eventi estremi. Ma il punto più debole della relazione secondo il mio parere, è che essa non tiene conto della manutenzione degli argini e degli alvei. Come abbiamo detto se per tratti del Torrente Giano buona manutenzione è stata fatta, essa risulta praticamente assente per tutti i suoi affluenti col rischio che tronchi, rami e detrito trasportati dalle piene finiscano nel corso d’acqua principale ostacolando poi il defluire delle acque specie in passaggi obbligati, quali ad esempio i ponti e appunto la tombinatura, esattamente come è successo nella cittadine recentemente colpite alcune delle quali, come Fabriano, ricadono nel medesimo grande bacino idrografico del Fiume Esino. Altra cosa da dire è che, sebbene la Relazione Mancinelli sia il documento “ufficiale” del progetto di recupero, esiste un altro studio condotto autonomamente dall’Università di Perugia il quale, al contrario, individua la mitigazione del rischio in soluzioni tecniche che non prevedono la copertura del torrente; questo studio è stato finora ignorato ma ritengo che dovrebbe essere preso seriamente in considerazione. Concludo dicendo che nella mitigazione di rischio idraulico la natura va assecondata non ostacolata. Le soluzioni più efficaci per ridurre gli effetti di una esondazione si sono dimostrate le vasche di laminazione, o casse di espansione che dir si voglia, cioè bacini artificiali di notevoli dimensioni, realizzati lontano dai centri abitati, nei quali viene riversato temporaneamente parte del volume dell’ondata di piena, in modo così di scaricarne la forza distruttrice.

Dopo tanti anni di battaglie, di cui il Comitato si è fatto promotore, a che punto siamo con i lavori del Giano e che tempistiche si prevedono per la riqualificazione completa del nostro fiume cittadino?

Credo che l’unica certezza al momento sia l’approvazione in Regione della variante che prevede il passaggio della fognatura in Piazza Bassa-Via Ramelli, invece che in sub alveo com’era nel progetto originario; in essa verranno convogliati gli ultimi scarichi del centro storico che ancora riversano direttamente nel fiume. Nessuna variante invece per la tanto attesa scopertura nel tratto di Via Filzi senza la quale il Giano verrà nuovamente coperto. Attualmente i cantieri sono stati sospesi per problemi di vario ordine, difficile quindi prevedere un “fine lavori” anche se l’Amministrazione si è espressa per una rapida ripresa.

Gigliola Marinelli

Giano: Ponte della Canizza           Bacino del Giano foto anni’50

 Fiume Giano                             Giano: Ponte di San Rocco