“Il Cammino delle Abbazie, Lo Spirito e La Terra”

Tutto pronto per il lancio de “Il Cammino delle Abbazie Lo Spirito e La Terra”, percorso itinerante ad anello che accompagnerà i suoi fruitori tra i territori di Fabriano, Matelica, Sassoferrato e Gualdo, attraversando la Riserva naturale regionale del Monti S. Vicino e Canfaito ed il Parco Regionale del Monte Cucco e quello della Gola della Rossa e di Frasassi. 14 itinerari in tappe volte a ripercorrere la storia e la cultura di questa terra, attraverso le sue Abbazie, i suoi Eremi e le sue bellezze naturalistiche. In un’Italia in cui il mondo dei cammini sta attraversando un cambiamento epocale, anche l’entroterra umbro-marchigiano vuole stare al passo. Il boom di escursionisti e pellegrini che abbiamo visto nell’estate 2020, in parte legato all’emergenza sanitaria ha confermato una tendenza già in atto da tempo: “gli italiani sono un popolo di camminatori”. Con questo entusiasmo l’associazione Università del Camminare, da una attività nata durante le scorse edizioni del Lo Spirito e la Terra, sta consolidando un cammino che non è un comune trekking ma è un vero percorso di riscoperta del territorio e della sua cultura. Auspicabile la sinergia e il patrocinio di tutti i Comuni e gli enti territoriali che il Cammino attraversa: Regione Marche, Regione Umbria, Parco Gola della Rossa e di Frassassi, Parco del Monte Cucco, Parco del Monte S. Vicino e Canfaito, Città di Fabriano, Comune di Matelica, Esanatoglia, Serra S. Quirico, Cerreto, Sassoferrato, S. Severino, Cupramontana, Genga, Serra S. Abbondio, Scheggia e Pascelupo, Fossato, Gualdo.

Si lavorerà con l’obiettivo che anche questo cammino possa essere attrazione di turisti che vengano a conoscere la nostra terra ed imparino ad amarla. Dall’Abbazia di Val di Sasso, all’Eremo dei Frati Bianchi, passando per il Monastero di Fonte Avellana fino all’Eremo di Serrasanta, per citarne solo alcuni, il cammino attraverserà bellissimi borghi come: Genga, Serra San Quirico, Cupramontana, Elcito e ancora il Castello di Precicchie, San Cassiano. Il tutto assaporando le prelibatezze enogastronomiche prodotte da queste terre, dal ciauscolo al rinomato verdicchio.
Il lancio del cammino, con il patrocinio della Commissione Europea, si terrà con un appuntamento simbolico di cammino il 23 maggio alle 8.30. Per questa occasione, l’Università del Camminare ha organizzato “La passeggiata alla ricerca del Monastero Femminile Benedettino di S.Stefano di Vallacera”, che partirà dal meraviglioso Castello di Precicchie (pranzo/pic hic su prenotazione), una trekking di conoscenza alla scoperta e ricerca di antichi insediamenti monastici in un contesto naturalistico unico e nel pieno dell’esplosione primaverile. Un cammino su strada sterrata senza particolari difficoltà e dislivelli, adatto per tutti.

Schede storiche

 Questo cammino si sviluppa come una ellisse attorno alla città di Fabriano, considerata una della città più benedettine del mondo, fondata nel XI secolo, che ospita i corpi di due santi monaci benedettini riformatori più importanti del basso Medioevo:

  1. a) San Romualdo (952-1027), che uni il cenobitismo benedettino all’eremitismo dei padri del deserto bizantini e all’itineranza dei monaci irlandesi, consigliere di Papi e imperatori germanici come Ottone III, fondando numerosi monasteri ed eremi benedettini nel territorio montano appenninico tra Umbria e Marche e che decise di morire a San Biagiolo il 19 giugno 1027, eremo posto accanto all’abbazia benedettina di San Salvatore di Valdicastro (1005-1009)

 

  1. b) San Silvestro Guzzolini (1177-1267) grande riformatore e fondatore dell’ordine benedettino di Monte Fano di Fabriano, che fu grandemente influenzato da San Francesco d’Assisi (1182-1226) nel secolo degli ordini mendicanti.

 

Grande influenza ebbe anche San Pier Damiani, biografo di San Romualdo e priore di Fonte Avellana dal 1043 e 1057 con la sua attività di riformatore dell’ordine benedettino corrotto da abati legati a Cluny fece diventare Fonte Avellana faro della congregazione avellanita, che aveva possedimenti dall’Abruzzo alla Romagna.

I monaci benedettini promossero tecniche di allevamento di pastorizia transumante come gli ovini e tecniche di coltivazione, riprese grazie al salvataggio delle conoscenze agronomiche Romane custodite nei testi classici greco e romani come quelli di Varrone, negli scriptorium medievali con i monaci amanuensi, come nel monastero benedettino camaldolese di Santa Croce di Fonte Avellana (PU) (X-XI SEC.), dove si salvarono testi di matematica araba, filosofia greca, astronomia e agricoltura.

Promossero l’impiego della ruota idraulica, da loro portata in Italia centrale nel X secolo, favorita dalla canalizzazione dei torrenti montani fondamentali per il funzionamento di macine, frantoi, mantici, magli per la lavorazione del ferro, e delle gualchiere per la produzione dei panni di lana e della carta, come i monaci benedettini silvestrini della città della carta Fabriano nel XIII sec. (Pirani F.2003).

I monaci benedettini furono fondamentali nello sviluppo dell’industria cartaria fabrianese, avendo la proprietà di cartiere le comunità monastiche dell’Abbazia di San Vittore delle Chiuse, di S. Maria Appennino, e quelle di Monte Fano, essendo anche probabilmente mastri cartai. (Paoli U. 1990).

I monasteri benedettini possedevano inoltre greggi numerosi di pecore dedite alla transumanza come nel caso dell’Abbazia di San Biagio in Caprile a Campodonico di Fabriano: nel 1325 l’Abbazia possiede almeno 590 pecore di qualità “carsagna”

(370 contrassegnate con il marchio di una forca e 220 circa con un marchio di un circolo o capestro”, che si spostavano come transumanza annuale verso il regno di Napoli nella zona dell’Aquila” (Castagnari G. 1990)

Furono promosse anche le coltivazioni del Castagno da frutto Castanea sativa, “l’albero del pane”, diffuso dai benedettini camaldolesi, portato come coltivazione in epoca Romana dall’Anatolia occidentale ma salvatosi anche in base a dati palinologici in diverse aree rifugio nella penisola italiana durante l’ultimo glaciale wurmiano. (Manzi A.2020).

I monaci benedettini salvarono anche le antiche varietà di mele domestiche selezionate in epoca Romana con l’innesto di Malus sieeversi con Malus sylvestris e insegnarono le tecniche di innesto alle popolazioni locali, che diffusero le mele domestiche in tutto l’Appennino e l’alta collina, mantenendo i frutteti con decine di varietà diverse fino al crollo della mezzadria nel 1960.

Inoltre l’Abete bianco Abies alba venne favorito dai monaci benedettini camaldolesi come legname d’opera e come specie simbolica a livello spirituale: “Potrai essere abete slanciato, nell’alto, denso di ombre e turgido di fronde, se mediterai le altissime verità se penetrerai con l’alta cima nella divina bontà sapiente delle cose dell’alto”. (Urbinati C. & Romano R.2008 “Liber heremiticae regulae”. Rodolfo II 1120”).

Il Liber Eremitice Regule svela proprio il rapporto unico tra monaci e foreste, che vede una simbiosi tra l’albero e il monaco e in particolare nel capitolo 46 De significatione septenarum arborum declama i setti alberi elencati nel libro di Isaia come segno della terra rifondata da Dio e a cui i monaci devono attingere come virtù. Il Cerro rappresentava la nobiltà, la sincerità e la dignità, il Biancospino era lo stimolo alla correzione e alla conversione, il Mirto rappresentava la sobrietà e la temperanza, l’Abete bianco la elevata meditazione e la sapienza, l’Olivo la fecondità di opere di letizia, la pace e la misericordia, l’Olmo il sostegno e la pazienza e il Bosso l’umiltà e la perseveranza (Frigerio S.2009)

Proprio studi genetici su Abies alba effettuati dal prof. Carlo Urbinati della Università Politecnica delle Marche hanno verificato che piccoli nuclei presenti nell’appennino umbro marchigiano nell’Alta Valle del Metauro e probabilmente anche nell’Alto Esino derivano dagli abeti bianchi di Camaldoli, portati dai monaci benedettini camaldolesi nel medioevo con la fondazione delle loro abbazie ed eremi.

Abies alba si era salvato durante l’ultima glaciazione wurmiana nei suoi rifugi appenninici italiani e nei balcani greci per poi colonizzare le Alpi occidentali in direzione nord ovest. (Kuster H. 2009)

Nascono in questo periodo le università o comunanze agrarie, che sviluppano un approccio collettivo ai beni comuni (pascoli, foreste) nei centri abitati appenninici chiamati “villa”, gestiti dai capi famiglia, mantenendo queste risorse naturali per secoli. (Ciuffetti A. 2019)

Le abbazie sviluppano una agricoltura più moderna, insegnando agli abitanti dei villaggi l’uso di tecniche di bonifica e aumento della fertilità dei terreni con la rotazione triennale, l’utilizzo dell’aratro pesante e della falce fienaia.

Proprio San Albertino a Fonte Avellana promuove l’affitto dei terreni in lavoreccio, liberandoli dalle corvèè della servitù della gleba imposte dai signori feudali locali di origine longobarda, sviluppando una forma di mezzadria già dal XIII secolo nel nostro Appennino.

Inoltre i monaci benedettini sviluppano all’interno dell’hortus conclusus il giardino dei semplici con piante officinali e curative, che sono alla base della farmacopea europea.

La particolare conformazione geomorfologica della parte montana della provincia di Ancona posta come sinclinale tra le due dorsali calcaree mesozoiche marchigiana e umbro marchigiana creano ambienti favorevoli per lo sviluppo con una densità unica in Italia di Abbazie ed eremi, dove la ricchezza di foreste montane di faggio e di abete bianco fino al XVIII secolo sono tutelate dai monaci benedettini per il loro desertum eremitico connesse alla ricchezze di sorgenti e di fiumi di fondovalle, che rappresentano i principali diverticoli dell’antica via consolare romana Flaminia, dove le abbazie possedendo molti hospitali per i pellegrini e i viaggiatori medievali rappresentano un punto sicuro di accoglienza e di sviluppo dei commerci e ricchezze, che faranno da preludio allo sviluppo dei Comuni Medievali dal XIII secolo.