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PAOLO PIACENTINI, APPENNINO ATTO D’AMORE

Un interessante confronto con Paolo Piacentini, presidente di Federtrek ed autore del libro “Appennino atto d’amore”, propone ai nostri lettori una serie di riflessioni sulla situazione del comprensorio fabrianese e del nostro Appennino. Lo abbiamo incontrato per tracciare un bilancio sugli interventi post sisma del 2016 e su alcune iniziative e progetti promossi dallo stesso Piacentini per mantenere alta l’attenzione sui territori montani colpiti dal terremoto ed a tutt’oggi in profonda sofferenza.

Paolo, dopo aver vissuto per molto tempo a Fabriano hai lasciato la nostra città. Osservandola dall’esterno e con occhio critico, che impressioni stai percependo? Si avverte il cambiamento tanto anelato dai fabrianesi o abbiamo ancora tanto “cammino” da fare?

Intanto grazie per questa occasione di poter consegnare ad una città che ritengo la mia seconda casa, alcuni pensieri affettuosi e sinceri. Osservandola da fuori e ascoltando alcune voci di amici o leggendo cronache giornalistiche alternate a commenti social, ricavo l’impressione di una città ancora troppo ripiegata su se stessa: avvolta in una sorta di pessimismo cosmico. Forse qualcosa si muove ma è difficile percepirlo a distanza.  Può darsi che alcuni progetti messi in cantiere dall’Amministrazione Comunale possano portare a dei miglioramenti oggettivi della qualità della vita, ma ho timore che i risultati non saranno immediati. Su cosa vuol dire “cambiamento” ci sarebbe da discutere molto. Per me, come sai, Fabriano dovrebbe valorizzare fortemente il suo centro storico ridandolo alle persone con un ampliamento spaziale e temporale delle aree pedonali. Non ho più seguito l’evolversi del Piano della Mobilità Sostenibile, ma spero che andrà avanti con coraggio perché anche chi si oppone oggi ne possa trarre significativi vantaggi in futuro. Ci tornerò più avanti, ma una città che vuole puntare ad un turismo di qualità deve prima di tutto alzare la qualità della vita dei propri cittadini, sia in centro che in periferia. Seguo con molta attenzione la sacrosanta battaglia in difesa del presidio ospedaliero ma dico, in modo anche un po’ provocatorio, che il benessere psico-fisico delle persone è legato alla qualità della vita e Fabriano e in questo senso ha una potenzialità enorme da mettere a disposizione: la straordinaria bellezza del territorio e del suo centro storico. Una dimensione dell’abitare più consapevole dovrebbe mettere sullo stesso piano la battaglia per una migliore qualità dell’ambiente di vita (prevenzione) e la presenza di un qualificato presidio sanitario.

Il nostro territorio è in sofferenza e in cerca di un’alternativa che garantisca occupazione e serenità ad una popolazione sempre più ridotta in termini numerici ed anagraficamente “anziana”, con una percentuale di disoccupati allarmante e sempre più in crescita. Nessuno di noi ha una sfera di cristallo ma, secondo te, quale futuro si prospetta per Fabriano ed il comprensorio?

Come dici tu nessuno ha la sfera di cristallo e chi pensa di averla è un po’ presuntuoso. Il calo anagrafico è un dato nazionale, soprattutto nelle aree interne e Fabriano, con la grande crisi industriale, non poteva certo essere un’eccezione. Siamo per ora davanti ad un calo quasi fisiologico che in qualche modo va a riequilibrare la crescita di popolazione che ci fu con gli anni della piena occupazione ma è un fenomeno che va attenzionato per capire come arginare un esodo eccessivo. Oggi non è possibile pensare ad un settore trainante dell’economia locale perché il futuro passa, inevitabilmente, in una integrazione dei vari settori accomunati da un’attenzione particolare verso il territorio. Non ci sarà più un distretto industriale ma fabbriche che puntano o dovrebbero puntare ad una forte innovazione che le renda competitive sul mercato nazionale e globale, sposando la sostenibilità ambientale e sociale. Esistono molti modelli, anche nelle Marche, di piccole e medie industrie che seguono la filosofia delle Benefit Corporation. Non si tratta di un superamento del capitalismo ma almeno lo rendono più umano e attento alle esigenze dei lavoratori, alle potenzialità del territorio dal punto di vista del paesaggio, del settore primario e del turismo.  Insomma non certo il mio mondo ideale ma sicuramente un bel passo avanti di cui Fabriano avrebbe bisogno, dopo i decenni di ricchezza sui quali non può davvero sputare sopra ma che l’avevano irrigidita in uno schema inconsapevolmente alienante esploso in modo drammatico con la fine di una sicurezza che sembrava eterna.

Nella tua permanenza in città ti sei distinto per le proposte, i progetti e le idee per un rilancio del nostro Appennino. Fabriano ha le carte in regola per far si che il turismo possa divenire un “volano di sviluppo del territorio”, per usare una definizione forse fin troppo abusata?

Come dicevo è da sciocchi pensare ad una Fabriano che trovi solo in un settore del primario, secondario o terziario la chiave di volta per uscire da una situazione drammatica, dal punto di vista occupazionale, che si riverbera fortemente in una sorta di depressione sociale collettiva. Il turismo è sicuramente un settore importante che per Fabriano rappresenta una sfida tutta da costruire, visto che i decenni dell’ubriacatura industriale avevano praticamente soffocato qualsiasi altro settore. Nel mio piccolo ho provato a dare degli input forti nel settore in cui lavoro da sempre. Ci siamo inventati un Cammino stupendo che sta avendo un buon successo e non potrà che migliorare. Mi riferisco al Cammino nelle Terre Mutate che conduce da Fabriano a L’Aquila e che stiamo promuovendo in tutta Italia (il 21 febbraio saremo di nuovo in onda a GEO per parlare di Fabriano e del Cammino). Alla promozione di un turismo lento e di qualità bisogna abbinare un’offerta che sia all’altezza in tutti i settori, partendo da quello culturale fino ad una accoglienza e ristorazione sempre più radicate nella specificità del territorio. Quando, in tutta Italia, parlo del valore del turismo lento, contrapposto a quello iper-consumistico del mordi e fuggi, cerco sempre di trasmettere l’idea di un’accoglienza che avvolge il viaggiatore. Per puntare a questa nuova forma di turismo che tutti ormai definiscono “esperienziale” (anche quelli che non ne conoscono bene il significato), bisogna che la città cresca tutta insieme alzando il livello dei servizi culturali e alla persona, partendo dai residenti. Una città che riscopre se stessa in rapporto ad un territorio meraviglioso e alla sua storia millenaria, crea le basi per un’accoglienza più autentica.

Il tuo impegno a favore delle popolazioni dell’Appennino colpite dal sisma, raccolto in parte anche nel tuo libro “Appennino atto d’amore”, ti hanno spinto a candidarti per la Presidenza del Parco dei Monti Sibillini. Da quali sentimenti nacque quell’idea e, soprattutto, col senno di poi ti ricandideresti?

La mia candidatura fu una provocazione. Vengo dal settore ambientale ed in passato ero stato presidente di un parco regionale, quindi conosco bene con quali meccanismi si scelgono i presidenti. E’ una scelta politica che in questo caso doveva passare per la concertazione della Regione Marche e Umbria con le quali non avevo assolutamente padrini politici. Lanciai quella provocazione pubblicamente sulla spinta di alcuni amici che vivono nell’area colpita dal sisma. Lo rifarei anche oggi perché quella mia candidatura fu molto apprezzata ed in qualche modo mi dette l’opportunità di allargare ancora di più la rete di relazioni umane e sociali in quell’area.

Credi che la politica abbia fatto tutto il possibile per sostenere le popolazioni che hanno subito pesantemente il sisma?

Purtroppo la risposta non può che essere negativa. Non lo dico io, ma ci sono dati oggettivi che mi portano a questa conclusione. Non è una situazione facile da gestire perché l’area colpita è molto vasta ma mi permetto di dire che, a parte i gravi ritardi nell’avvio di una qualche idea di ricostruzione, quello che manca di più è l’ascolto di una sofferenza psicologica profonda, individuale e collettiva. Ho molte “sentinelle” che ascolto quasi ogni giorno e mi raccontano storie quotidiane drammatiche.

Quanto la difficoltà nei collegamenti e la carenza di infrastrutture hanno penalizzato l’economia e lo sviluppo dei nostri territori montani?

Su questo punto sembrerò fuori dal coro da chi vede nell’ultimazione della SS 76 la panacea di tutti i mali. Nonostante personalmente apprezzi la possibilità di arrivare a Fabriano con qualche minuto in meno, non ho mai pensato che questa infrastruttura potesse rilanciare un’economia che ha vissuto il suo massimo splendore quando i collegamenti erano comunque carenti. E’ ovvio che ora tutti ci auspichiamo che avvenga, quanto prima, l’ultimazione di tutta la tratta quanto meno per eliminare i disagi e magari fare qualche mitigazione al danno paesaggistico perpetrato durante l’infinita fase di ricostruzione. I problemi di collegamento, dal mio punto di vista, riguardano di più la tratta ferroviaria. Senza metterla troppo sul personale, non posso nascondere che proprio il collegamento lento verso Roma fu una delle motivazioni che mi costrinse a spostarmi in Umbria con la mia famiglia.  Considera che la distanza ferroviaria tra Fabriano e Roma è la stessa che separa la Capitale da Napoli: da Roma a Napoli un’ora e cinque di percorrenza, da Fabriano a Roma quello più veloce ne impiega due di ore. In sintesi, credo che l’innovazione industriale su cui punterà Fabriano, almeno è questo il mio auspicio, porterà una riduzione del flusso di merci rispetto agli anni del distretto del “bianco” e quindi non sarà la SS. 76 a fare la differenza. Ma questa è ovviamente una mia opinione personale sulla quale ci vorrebbe un confronto di qualche ora.

Tornando a Fabriano, quale progetto di sviluppo potresti suggerire all’attuale Amministrazione che possa tracciare un cammino, termine a te così caro, verso una nuova consapevolezza del valore di Fabriano quale città capofila di un territorio montano ricco di risorse ed opportunità?

Il progetto di sviluppo sta nelle risposte precedenti. Valorizzazione piena del centro storico, con il coinvolgimento di tutti i cittadini, ma avendo il coraggio di fare scelte importanti verso una forte restrizione del traffico privato. Porsi come capofila (forse un tentativo si sta facendo) dei comuni dell’area per puntare a delle politiche territoriali che mettano al centro, da una parte le eccellenze imprenditoriali esistenti e dall’altra che facciano emergere le altre vocazioni di un’area appenninica: agricoltura contadina, turismo consapevole e rispettoso di luoghi e comunità, gestione oculata del patrimonio forestale. Mettere sempre più in rete le attività culturali che arricchiscono il panorama cittadino, mettere a sistema la promozione della rete museale pubblico – privata.  E’ importante incentivare la presenza di imprese che fanno davvero innovazione in campo ambientale e sociale. Una zona montana in crisi, a questa dimensione geografica e sociale appartiene Fabriano, può rinascere solo se riesce ad organizzarsi come area vasta per intrecciare alleanze finalizzate alla costruzione di un futuro impregnato di forte innovazione, che non lasci indietro nessuna vocazione territoriale. Vanno create le condizioni per un’occupazione diffusa e “resiliente”, giusto per usare un termine abusato, ma che aiuta a comprendere la necessità di un’occupazione fortemente radicata al territorio ma più adatta a sopportare i cambiamenti sociali ed economici dettati dai fenomeni globali.

Gigliola Marinelli