QUANDO SI BUTTANO I PADRI

Sparare sul padre, sui padri, sul principio dei padri, è uno sport contemporaneo che va parecchio di moda. L’unico padre buono è quello morto, di cui si può tessere un bel necrologio, magari pubblicandone sui social le foto, di quando ci teneva in braccio da bambini ed era certo meraviglioso, il padre migliore del mondo. I padri vivi invece non sono per nulla meravigliosi, sono, per la vulgata mediatica, prepotenti, insensibili oppure inesistenti, inattivi, incapaci, quando non addirittura violenti e degenerati.

Abbiamo costruito famiglie dove i padri in genere sono marginalizzati, decentrati dalla educazione dei figli, messi in condizione di non nuocere coi loro potenziali “no” e se li accettiamo è perché si sono trasformati in “mammi”, guidano con perizia passeggini e fanno la spesa e cambiano pannolini – tutte cose necessarie per carità – ma l’importante è che non importunino troppo la delicata crescita dei figli. A questa in genere pensano mamme tigri o walkirie che prendono decisioni e deliberano in merito al futuro. Il futuro non è più un progetto affidato ai padri. A questi ultimi rimane comunque la splendida consolazione della partita in pace o del lavaggio della berlina la domenica. Se qualche padre mostra poi perplessità gli si fa capire che “quella è la porta”

La situazione certo è grave ma ancor più paradossale e non è il caso di tessere l’apologia degli ottocentomila padri separati che non arrivano alla fine del mese, la questione non è questa. Mi pare più grave la condizione di una società senza padri che ha perduto il senso della negazione e del limite, che ha espulso il principio d’autorità, inventandosi autorevolezze, contratti formativi e amenità di questo genere. L’asimmetria fondamentale che unisce chi entra nel mondo con chi lo abita e lo organizza è saltata. In nome del diritto ad essere ascoltati ed educati (anche questi valori sacrosanti) si espelle dall’esperienza il senso della memoria e della sanzione. Ai giovani non daremo un lavoro, ma intanto stiamo dando loro l’illusione di una libertà illimitata.

Anche a scuola ti capitano situazioni in cui devi spiegare cose che non dovrebbero essere spiegate: perché non si gioca a carte, perché non si riprende col cellulare, perché non si scrive sul muro, perché non si manda a quel paese l’insegnante ecc. Perché? Perché no, dovrebbe essere la risposta. Ma una risposta così ormai è del tutto impraticabile. Ecco il punto. La scuola ha difficoltà a sanzionare, non va più di moda, e la legislazione degli statuti (degli studenti) è enormemente garantista. Se la famiglia interviene lo fa per dare ragione all’alunno. Come se ne esce? Chi si assume oggi la funzione di vietare? Ridare senso al padre non è più una questione occasionale, diventa una emergenza antropologica. “Ce la caveremo, vero papà?/ Sì ce la caveremo. /E non ci succederà niente di male./Esatto/Perché noi portiamo il fuoco/Sì perché noi portiamo il fuoco.” (C. McCarthy)

Alessandro Cartoni