IL CV E LA STANTIA GARA A CHI CE L’HA PIU’ LUNGO (CERTI CHE TANTO NESSUNO LEGGE)

Italiani popolo di navigatori, poeti, santi e… cazzari. Iniziano da piccoli, di solito, piagnucolando alle elementari su surreali compiti mangiati dal cane, per poi salire di colpi alle medie facendo passare a miglior vita zie di sesto grado (in realtà vive e vegete) per evitare interrogazioni in storia o in geometria cartesiana. Quindi da grandi si inventano menomazioni a giunture e articolazioni per non fare una coda alla cassa, fanno i peggio impicci per certificati di malattia a lavoro pur deflagrando di salute, si spacciano per invalidi fasulli con l’intento di arruffare sussidi, assegni e parcheggi sulle strisce color giallo ocra, si inerpicano sugli specchi con l’agilità di un Bonatti sul K2 se vengono sgamati in una “liaison” extra-nido coniugale e raccontano fandonie al fisco a danno della collettività perché tanto poi Pantalone alla fine i quattrini li scuce sempre. Infine, diventano campioni olimpici nel mentire a loro stessi, soltanto per convincersi che questo o quello è giusto, quando poi alla fin fine quasi mai lo è.

L’indole cazzara del bipede italico raggiunge il suo apogeo nel curriculum vitae, florilegio di minchiate, amenità, rigonfiamenti e espedienti morfologici a go go. Col chiaro scopo di piacere a tutti perché, coi tempi poi che corrono specie sul fronte lavorativo, gli italiani a loro volta tutti si fanno piacere. Un trionfo di bluff e imposture assortite, che nell’era dei social sta diventando vera e propria bulimia. Il Cv-gate di Giuseppe Conte, carneade prescelto per approdare al soglio di Mattarella con l’intento di porre fine alla doppia quaresima post-voto che agli italiani tanto erode le parti intime, è solo una stilla d’acqua nell’oceano dei raggiri che compongono la vera summa di otto curricula su dieci. Sia chiaro: il giurista conterraneo di Padre Pio non ha millantato alcun titolo che non ha, al contrario di altri personaggi della sfera pubblica del passato più prossimo. Semplicemente, se l’è sentita un tantino garibaldina nell’enfiare alcune sue esperienze all’estero, trasformando comuni trasferte-studio in pecette didattiche decisamente esagerate. La vicenda però conferma il costume tutto nostrano della gara, ormai sin troppo stantia, a chi ce l’ha più lungo in sede curriculare. Se ancora sono in maggioranza i Cv senza la panzana gigante del diploma finto, della laurea fasulla o del master contraffatto, lo stratagemma di pompare voci esperienziali del tutto ordinarie è la norma.

In rete gira il meme del chitarrista che una volta si è trovato a suonare con lo zio del cugino della colf di Stevie Wonder, per poi rivendersi gagliardo agli amici di essere amico fraterno della popstar del Michigan e di averci fatto assieme chissà quale jam session. Noi italiani siamo così: la facciamo costantemente fuori dalla tazza. Seguire un workshop di inglese satirico a Cambridge diventa “ho studiato presso Cambridge”. Il giornalista che ha scritto un colonnino per l’opuscolo di uno dei mille inserti de “IlSole24ore”, si auto-eleva a penna tra le più promettenti del giornale color salmone. Senza considerare l’ambito accademico, dove ogni pubblicazione viene siringata di pomposità, esclusività e testosterone anche quando si tratta di una didascalica dispensina che neanche chi si è preso la briga di pubblicarla ha letto. Gli anglicismi, da “ceo” a “Social media manager”, arrivando fino a epiteti da denuncia penale come “digital evangelist”, diventano poi l’insulsa melassa con cui si orna la mousse di menzogne (non elenchiamo le altre espressioni rubate a sua maestà per evitare oltraggi al pudore linguistico).

Insomma: perché tante cazzate? Il discorso è di una semplicità disarmante: quando si compila un Cv, nella mente di tutti ronza l’idea che nessuno lo leggerà, o al massimo si pensa che gli verrà data una sbirciata rapida. Sia che si ambisca a un contratto interinale in un call center, sia che si aspiri a fare il primo ministro della settima economia del globo terracqueo. Proprio qui sta il punto. L’accelerata che ha portato Conte da Mattarella non gli ha dato il tempo di pensare che fosse opportuno sgonfiare certi eccessi nel classert di 12 pagine con su scritto il suo vissuto, anche perché prima di lui nessuno si è mai sognato di fare del fact checking sul passato degli inquilini di Palazzo Chigi, essendo tutti arcinoti chi al grande chi al piccolo pubblico.

Al di là di tutto, il caso insegna: basta nutrire il proprio ego con cazzate sui cv. Così come sui social. Perché anche se di prassi nessuno ci cagherà, certi trucchetti non fanno affatto figo. Anzi, molto più spesso fanno sfiga. E tanta poi.

Valerio Mingarelli