DALLA BERLUSCONAVE AL MAT-TRENO: IL CARRETTO PASSAVA, E QUELL’UOMO GRIDAVA… MI VOTI?
Facciamo mente locale. Per generare consenso, nel grande ginepraio che è la politica, serve essere competenti? Forse (dovrebbe). E’ necessario essere veri frontman, nel senso di comunicatori provetti? Nì (se la fai spesso fuori dal vaso, è controproducente). E’ preferibile avere un grande partito-cartello-movimento alle spalle? Manco troppo (senza consorteria, Trump è arrivato fin dentro lo studio ovale). E a seguire, meglio essere di lotta o di governo? Bah, un po’ e un po’ (a targhe alterne, a prescindere dal livello delle polveri sottili). C’è solo un aspetto, oggi, che diventa irrinunciabile se si vuole tentare la scorpacciata di suffragi: bisogna avere trasporto. Nel senso più letterale del termine: un mezzo (di trasporto). Più cacofonicamente, un veicolo che ti aiuti a veicolare. Le cinque carrozze smart, cool, trendy, lol, top del treno Pd, che proprio in questi giorni battono palmo a palmo la strada ferrata dello Stivale tenendosi però a distanza di sicurezza dalla Sicilia (dove è in arrivo un manrovescio elettorale), sono le ultime entrate nel firmamento della lunga e faceta saga del voto acchiappato “on the road”, cult movie politico che senza soluzione di continuità ci tiriamo dietro da metà anni ’90.
Che siano velocipedi o natanti, aerei o anfibi, oppure a due, quattro o otto ruote (all’appello mancano solo il convertiplano e il sommergibile), nell’ultimo quarto di secolo abbiamo visto qualsiasi aggeggio di locomozione impiegato in estenuanti e talvolta tragi-burleschi tour di “captatio benevolentiae” dei politici di turno. Se negli Usa il primo a imbastire un promenade elettorale su rotaia fu Harry Truman nel lontano 1948, da noialtri il primo “easy rider” fu colui che tra i tanti mammiferi nati nel bioparco politico italiano, meno di tutti aveva “le physique du role” per fare anche solo un cameo a fianco al duo Nickholson-Fonda nella fortunata pellicola di Dennis Hopper: Romano Prodi. Era la primavera del 1996 e su un pullman bianco, uno di quei fragorosi Iveco diesel à la page allora con tanto di ramoscello di ulivo aerografato sulla fiancata per l’occasione, il professore felsineo partì da Tricase (Salento) per il suo lungo cammino d’asfalto. Destinazione finale Palazzo Chigi, dove albergò fin quando le allergie da palazzo del compagno Bertinotti non crearono ulcere lancinanti e la coalizione si incancrenì. Intanto però, la breccia dell’escursione acchiappa-voti era tracciata. E Veltroni, succeduto a D’Alema sul ramo più alto della Quercia, replicò col bus nella campagna delle Europee del ’99. Per i Ds, però, fu l’inizio dell’ascesa al Golgota (17% tirato).
Nel 2000, invece, venne sdoganato il tour marittimo: iniziò Emma Bonino con una fricchettona barca a vela “green”, proseguì Clementissimo Mastella, che scorrazzò per i golfi campani su un gozzo (un capitan Findus in salsa centrista) aiutato dall’amico Peppiniello Di Capua, e poi arrivò lui: Silvione. Alle regionali del 2000, per il suo risorgimento definitivo un lustro dopo il ribaltone di Bossi, noleggiò Excellent, praticamente una nave seconda solo al Titanic per dimensioni, con dentro concierges, camerieri, personale Ata, team di poppa, team di prua, chef stellati, drappellone di lap dancers (già all’epoca il nostro cuore impavido si dimostrava ghiottone in tema di gentil sesso), schiere di tirapiedi e ciambellani, monitor a 17 miliardi di pollici, e sala conferenze da mille posti con tribuna numerata. Man bassa alle urne, e d’Alema finì dritto (a piedi, però) al Colle da Ciampi con la letterina di dimissioni in mano e la coda tra gli adduttori.
Un anno dopo, per le politiche 2001, Excellent salpò di nuovo per lambire tutte le coste del Belpaese. Ad ogni attracco, sbucarono a cornice velivoli Cessna con striscioni di varia reclàme politica, dal canonico “meno male che Silvio c’è” fino ad “azzurra libertà, ti difendiamo noi”. Avanspettacolo in mare forza sei, con qualche attimo di baruffa quando il cargo berlusconiano approdò a Livorno e andò ad imbattersi in un bastimento rifondarolo battente bandiera comunista, che impedì all’equipaggio al soldo forzista di attraccare e al dominus di Arcore di fare il suo spumeggiante comizio. Attenzione però, perché il 2001 fu uno spartiacque anche nel centrosinistra. Abbandonata la scorribanda su gomma, il drappellone ulivista traslocò su rotaia: a fare il cantante dell’orchestra fu messo il bellimbusto Francesco Rutelli, forte del successo a Roma del giubileo del 2000, e il convoglio partì. Certo, non eravamo ai livelli del pendolino renziano: i social, del resto, erano distanti dal vedere la luce. Però 5 km di cavo cablato, oltre 40 casse di diffusione audio (roba che nemmeno il treno dei Queen nel video di “Breakthru”), 20 pc nuovi di pacca a disposizione dei giornalisti (disagio a grappoli quando, ad una tappa, salì Giorgio Bocca con la sua Olivetti 32) e anche qui gourmet e cambusieri sempre pronti a imbastire rinfreschi, spuntini e leccornie. Ne uscì pure un’indelebile imitazione caricaturale di Corrado Guzzanti in “L’ottavo nano”: “Elettore bibbitaro!”. I vagoni rutelliani macinarono oltre 5 mila chilometri toccando una sessantina di città senza che nessuno decidesse di fare harakiri lanciandosi dal finestrino. La corvee non bastò: Silvio tranciò l’Ulivo alla radice e stravinse.
Arriviamo ad epopee più recenti. Mentre Gianfranco Fini inaugurò la stagione del tour in… tir nel 2005-2006, con lo slogan “Svolta a destra” (preso per i fondelli a mancina ma anche, macchiettisticamente, a destra), la gita elettorale su rotaia nel 2009 per le Europee contagiò il segretario Pd pro tempore Dario Franceschini e l’anno seguente, per le regionali, persino il saltimbanco Beppe Grillo. Il quale, intrepido, al grido di “siamo il virus che vi annienterà” (la sobrietà in fin dei conti è proprio la specialità di casa Grillo), scaraventò su regionali veloci e littorine i carneadi Vito Crimi in Lombardia e Roberto Fico in Campania. A parte qualche carezza di rugosa mano senile e un po’ di bonari scappellotti, il primo non arrivò al 3% e il secondo superò malapena l’1%.
Nel biennio 2013-2014 le gitarelle acciuffa-voti diventarono più naif. Sembra incredibile, ma la vetta di “pop art” elettorale più alta la toccò Mario Monti quando, convintosi di essere trasmutato nel giro di una notte da grigio burocrate a rockstar sobillatrice di folle ululanti, iniziò a girare in “Pavesina”. Il furgone d’epoca, cromato in morigerato beige come da logo di “Scelta Civica”, non scaldò troppi atri e ventricoli: il “crash” del professore alle urne fu veemente. A fine 2013 irruppe sulla scena un certo Matteo Renzi. Camicia bianca, smartphone sempre carico a mo’ di mortaio per sparare ficcanti tweet ad ogni ora, e camper perennemente in moto. Già il camper: con un fotografo e un autista, scorrazzando con la casetta a quattro ruote da una parte all’altra del paese il virgulto Dem gigliato si prese in tre mesi prima il partito e poi, aprendo la botola sotto ai mocassini di Enrico Letta, il governo. Quindi, a primavera, siglò la goleada del 40% alle Europee, quando per molti pareva persino un simpaticone di quelli che fanno schiantare dalle risate.
A rubargli un po’ la scena, due anni dopo, arrivò un fustaccio un po’ ganimede e un po’ pasionario: il “Dibba”, quell’Alessandro Di Battista che salì in sella a uno scooterone e tirò fuori una mille miglia quadruplicata in difesa della Costituzione. Il suo lato B ne uscì appiattito, le nostre parti care idem, ma il “no” al referendum vinse con un filetto di gas. Il resto è storia di oggi. In attesa delle politiche 2018, Renzi tra abbracci (pochini) e urla belluine (siamo ormai alla santabarbara uditiva) affronta il popolo italico da stazioncine di provincia intimando tra una tappa e l’altra fiducie su leggi elettorali e lanciando merda a quintali su governatori della Banca d’Italia. “Starò fuori dalla mischia e ascolterò la gente” disse a Tiburtina, quando il capotreno Dem portò le labbra al fischietto per la partenza (e meno male). Però statene certi: non sarà il solo a rimpinzare il film. Ne vedremo di ogni da qui ad aprile, dalle gondole alle mongolfiere, dagli autosnodati ai gatti delle nevi, dai parapendii ai vaporetti. Soltanto su un Cicchitto in rollerblade verrebbe da non scommettere, ma presto il jingle ripartirà: “Si… viaggiare, evitando le urne più dure”.
Valerio Mingarelli