SALVIAMO L’ABBAZIA SANTA MARIA D’APPENNINO DI CANCELLI

Quella di Santa Maria d’Appennino è un’abbazia benedettina fra le più antiche delle Marche: la sua prima sede, intorno al 950, era posta a maggiore altezza nella zona del valico fra Umbria e Marche, ma le rovine che vediamo oggi appartengono alla seconda sede, spostata nel XII secolo nella valle del Giano, poco a monte dell’abitato di Cancelli. La sua importanza è testimoniata dalle numerose opere d’arte che custodiva, fra le quali gli affreschi del Maestro di Campodonico e di Allegretto di Nuzio, in parte recuperati e spostati in altra sede, in parte purtroppo andati perduti, come la bellezza dell’edificio, di cui attualmente restano solo i ruderi. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Moscé, membro del Comitato “Alla Scoperta del Giano” e cittadino sempre in prima linea sulle questioni storico-ambientali.

“Agli irreparabili danni provocati dall’incuria – afferma – come collassi e crolli, si sono aggiunti negli anni ripetuti furti dei materiali di costruzione da parte di ignoti. Credo di parlare a nome di tutti se dico che sarebbe un peccato non fare nulla e perdere un’abbazia benedettina di epoca romanica per negligenza e disinteresse. Sono ancora riconoscibili parti delle volte della chiesa e del cenobio, oltre ed alcuni portali romanici in pietra locale, tutte testimonianze originali dell’epoca importantissime da salvare – spiega Moscé. – Restaurare nel senso di recuperare la funzione abitativa della struttura sarebbe, almeno per il momento, troppo difficile e costoso; ma salvare il salvabile, invece, sarebbe opportuno: mi riferisco quindi ad un recupero conservativo, un intervento che congeli la situazione senza lasciare che si aggravi ulteriormente, volto a bloccare i danni derivati dal completo abbandono e che permetta almeno di non perdere quel che rimane della parte più antica, di cui le mura e gli archi romanici. Attualmente – aggiunge –  l’edificio è di proprietà degli eredi della nobile famiglia Serafini, residenti in provincia di Terni, che da anni lo hanno messo in vendita, senza riscontri, complice forse la posizione fuori mano e priva di servizi, la vicinanza alla linea ferroviaria ed alla statale Ancona-Roma e la presenza di alcuni tralicci dell’alta tensione, che rendono il sito poco appetibile dal punto di vista commerciale. Molte sono le persone che hanno dimostrato di avere a cuore il problema: storici, tecnici e semplici appassionati come il sottoscritto. Abbiamo raccolto materiale fotografico, cartografico e storico, ma anche delle testimonianze orali di persone che in quel luogo hanno vissuto, come il Signor Luciano Gatti, che in passato ha gestito la proprietà e che sull’abbazia è una vera e propria enciclopedia vivente. Il mio appello – conclude Fabrizio Moscé – va alle Associazioni, alla Curia ed al Vescovo stesso, affinché si interessino della situazione per tentare di convincere la proprietà a donare o almeno a vendere ad un prezzo simbolico il rudere. Si dovrebbero poi trovare i fondi per avviare il lavoro di restauro conservativo vero e proprio, con la speranza oggi di fermare il tempo, domani, magari, di rimettere l’Abbazia in funzione. Sarebbe molto interessante dal punto di vista sia storico che architettonico, ed il mio appello al Vescovo non è casuale, anzi, è una duplice sollecitazione: in qualità di Vescovo, appunto, per quel concerne l’aspetto della spiritualità del luogo, ma anche in qualità di tecnico, essendo lui architetto, quindi senza dubbio con un’elevata competenza e sensibilità di fronte a questi temi, affinché possa prendere a cuore la situazione ed aiutarci a salvare questa importante testimonianza della spiritualità e della storia artistico-architettonica della nostra terra.”

Paola Rotolo