BRUXELLES, RISCHIO RETORICA INNALZATO A LIVELLO A+++
Ieri ci siamo svegliati con le terrificanti immagini degli attentati di Bruxelles: impossibile non rimanere sgomenti di fronte a tanta efferatezza a gratis. A cui ci stiamo abituando, da quando nelle nostre vite è entrata, senza bussare, la sigla “Isis” (Islamic State of Iraq and Syria). A soli quattro mesi e nove giorni dai cruenti accadimenti di Parigi, anche questa volta si è scatenata una frotta di reazioni (sacrosante) di paura e cordoglio. Poi, a cadaveri ancora fumanti, è entrata in scena l’orda mista di turbo-indignati, cattedratici da tastiera, “columnist” da mezza tacca, levigatori di gonadi e pusher impuniti di frasi fatte. Alla colata di piombo di congetture e ricette insipide su Facebook hanno fatto il paio sermoni, ciangottii e latrati televisivi. Proprio come nel post-Bataclàn: repetita non iuvant. Tanto che il rischio retorica è stato innalzato a livello A+++. Per carità, la libertà di espressione prima di tutto. Ma è evidente che, in questo oceano di parole, gli spunti interessanti e le riflessioni ragionate hanno finito per scolorirsi nella mareggiata di “già detti” e cialtronerie. Eccolo, comunque, il breviario letterario delle reazioni alla nefasta mattinata belga.
ASPIRANTI RAMBO. “Guerra! All’attacco! Spianiamoli! Al mio segnale scatenate l’inferno! Abbasso Allah!”. Si tratta di coloro che, con la polvere da sparo ancora in aria, hanno già l’elmetto in testa e la mimetica addosso. Vaneggiano di attacchi dal cielo, da terra, e anche da sottoterra se necessario. Forse da bimbi hanno giocato solo coi soldatini, e da grandi solo a Risiko, bramando sempre l’obiettivo “18 territori con almeno due armate”. Quando domandi loro “scusate, ma chi e dove dovremmo attaccare?”, parte la gara olimpica di arrampicata sugli specchi.
ANTI-OCCIDENTALISTI. Sono quelli che… è tutta colpa nostra. Del tipo: se tu stai andando a lavorare e un disgraziato gioca a “unabomber” facendosi saltare a fianco a te, la colpa è tua che vai a lavorare. Magari per una perfida multinazionale. O solo per il vil denaro, cancro dell’Occidente consumistico. Come se loro fossero nati in riva all’Eufrate e campassero d’aria. Se chiedi una soluzione, ti rispondono con uno stucchevole “peace and love”.
007 SPECTRE. Sono coloro che liquidano la faccenda con un… più soldi all’intelligence! Poi fai notare (sommessamente) che, di fronte a psicopatici che uccidono 30 poveracci in una città in stato d’allerta da quattro mesi, l’intelligence ha già fallito. E ci rimangono male.
DEAD MAN WALIKING. Ad ogni attentato, sparatoria, scaramuccia e can che abbaia, sono quelli che… “tanto adesso tocca all’Italia”. “Hai uno zio che lavora per Scotland Yard?” – provi a chiedere tu. “No, ma abbiamo il Papa. Siamo spacciati”. Hanno già prenotato un fornetto al cimitero e da stamattina girano col giubbotto antiproiettile e il furgone blindato. Evitano i bagni di folla (e i bagni pubblici). Non importa se col gas mostarda o con un super-liquidator rubato in spiaggia a Riccione: Daesh colpirà loro. E tu non puoi far nulla.
GUARDIANI DELL’INTERNET. Se ti azzardi a sviare, sui social, arrivano i chierichetti della Rete. Tu posti (ad esempio) il link a un pezzo sul salva-banche perché ti hanno fottuto 50 mila euro di risparmi, e loro ti redarguiscono. “Ti sembra questo il momento? Irriguardoso!”. Tu rispondi: “Caro perdonami, ma mentre tu gridi je suis Paris, je suis Bruxelles, je suis Roncobilaccio, io beh… je suis al verde. E sul serio”. E loro giù con aforisma della Fallaci pronto per l’uso.
UBIQUI. Sono i cosmopoliti. “Incredibile, ho visto 6783 concerti al Bataclàn, avrei potuto esserci anche io lì” – avevano detto a novembre (sì vabbeh, 6783: da Beethoven ai Muse praticamente). Oggi: “Passo tre volte a settimana all’aeroporto di Bruxelles, sono vivo per miracolo”. Tra 15 giorni scopriremo che non escono fuori dal Raccordo Anulare da fine agosto, ma va bene lo stesso.
Potremmo proseguire all’infinito, ma abbandonando le parole vomitate a caldo, la verità è che della questione siamo convinti di sapere tutto quando in realtà non sappiamo una mazza. Un post in meno e un libro letto in più, su questo contrasto religioso-culturale-razziale, non sarebbe male. Il contesto non aiuta: siamo infarciti di scialbi battibecchi tra Renzi e Salvini (a proposito: ieri è intervenuto in 8 programmi tv, mancava solo di vederlo ad Affari Tuoi). O tra Totti e Spalletti. Di quanto accade oltreconfine non si parla mai, se non per tragedie come quella di ieri o per ascoltare le menate del riporto “orange” di Donald Trump. Come se ne esce? Il problema pare insolubile. Che sia una guerra è palese. Che noi non possiamo fare guerre a casaccio è altrettanto lampante: non siamo né pronti né attrezzati. L’Europa è sotto scacco perché non esiste, politicamente è un colabrodo e non ha identità. Poi c’è un dato: dal Vietnam in poi, in ogni guerra gli occidentali hanno preso legnate a destra e a mancina (Iraq, do you know?). Oppure hanno strappato pareggi a reti bianche (Libano, Balcani) o vittorie di Pirro (Libia, primavere arabe). Sappiamo fare la guerra (neppure troppo), non la guerriglia. E ci siamo abituati alla pace (vivaddio). Per ovviare a questa piaga, dobbiamo conoscerla e capire (per davvero) chi finanzia questi qua. Non sono sei disgraziati con qualche pistola, ma hanno bombe, appartamenti, mezzi per spostarsi, organizzazione, linguaggi cifrati: qualcuno paga. E tanto. Sono nati con la mimetica, loro. Noi temiamo pure per un calabrone che ci entra in casa. Forse il punto da cui partire è questo: la paura. Non hanno timore di morire, loro. Noi sì. E questo ci fa stare dalla parte giusta.
Valerio Mingarelli