SE QUESTO E’ UN UOMO – di Laura Trappetti
C’è per tutti un libro che ci accompagna nel corso della vita, il mio è da anni “Se questo è un uomo/La tregua” di Primo Levi. Costantemente lo rileggo e non è un’auto imposizione, non è un esercizio di memoria cui ci obbliga il calendario, ma una mia esigenza personale. La storia è nota: l’arresto, il lager, il passaggio interiore ed esteriore dall’essere uomo a diventare häftling e la perdita di un’identità, di ogni tratto distintivo personale e poi la liberazione e il lungo viaggio di ritorno verso un mondo apparentemente pacificato nel quale forse Primo Levi non troverà mai più realmente il suo posto, fino alla sua tragica morte nell’87. Ciò che mi spinge non è solo lo stile letterario chiaro e asciutto che mi fa amare moltissimo Levi come scrittore o l’interesse storico, il dovere della memoria, quanto piuttosto la riflessione costante sul senso dell’umanità, l’indagine dai tratti scientifici del Levi chimico, oltre che scrittore, su quanto appartiene alla nostra specie anche nella sua espressione peggiore. Mi trovo talvolta a citare Vittorio Arrigoni, l’attivista per i diritti umani e giornalista ucciso a Gaza nel 2011, il quale terminava ogni suo articolo con l’adagio “Restiamo umani” ed è chiaro che nella sua, come nella mia intenzione, c’è un invito a mettere in luce l’aspetto più alto dell’umanità, il senso di compassione, il riconoscersi nell’altro anche se diverso, il sentire cosa ci accumuna nello stesso destino, nei medesimi sentimenti e farne una base solida di cooperazione e pace. L’affermazione in me è sempre coniugata alla domanda: che cos’è un uomo? E Levi mi guida mirabilmente in questa ricerca. Quale sarebbe stato il mio posto nel lager? Sarei andata a far parte della numerosa schiera dei sommersi o mi sarei trovata fra i pochi salvati? E a quali risorse di egoismo, di istinto di sopravvivenza avrei dovuto appellarmi per uscirne viva? E perché escludermi dai carnefici? Io sono fra quelle di cui Levi scrive Voi che vivete sicuri/nelle vostre tiepide case,/voi che trovate tornando a sera/il cibo caldo e visi amici e dunque non so, non posso sapere e continuo a domandarmi su di me, sugli altri e non temo la retorica del calendario, questo dubbio continuo è il mio antidoto.