L’ANNO CHE VERRÀ… RIFLESSIONI AD ALTA VOCE – di Paolo Gionchetti

Salutiamo il vecchio anno con la più classica festa imposta, speranze, buoni propositi, e facili intenzioni. Sicuramente sarà stato un anno difficile, o forse un anno abbastanza sereno per altri versi. Ci si congiunge con il proprio “io” e con il proprio istinto per scardinare quei punti che pretendiamo accessibili, consacrandoli come “riuscita” d’intenti. Forse con l’inizio dell’anno la locuzione latina Nihil difficile volenti, calza veramente a pennello. E come una pennellata che tracima con la sua tempera fosca, per tramontare quei momenti che vorremmo si cancellassero, tutti quei momenti che potevano prendere tutta un’altra piega. Sicuramente con le notizie che circolano, non ci sentiamo preparati a iniziare un anno serenamente ma con una dose forte di forza d’animo, il nostro percorso ci sembrerà meno arduo. Saranno le prerogative che potrebbero aiutarci, un aiuto di tutti i giorni. L’impegno: aiutare i nostri orecchi all’ascolto dei nostri cari, del nostro compagno, avvicinarsi umanamente all’individuo. Henri Bergson (1859-1941) importante filosofo francese, noto per i suoi studi sull’evoluzione creatrice, quindi esponente di primo piano del pragmatismo e dello spiritualismo, in un suo testo “Saggio sui dati immediati della conoscenza” indicava che “La durata assolutamente pura è la forma che prende la successione dei nostri stati di coscienza quando il nostro io si lascia vivere”. In poche parole dobbiamo frazionare il tempo qualitativo e non ridurlo a un tempo scandito solamente da un orologio. Prendersi del tempo quel tempo che fa bene a noi e che potrebbe far del bene al prossimo. La modernità ha educato l’uomo all’autonomia, avendo sempre più “bisogni”. Oggi un formalismo di corruzione spirituale tramuta l’Italia dei corrotti e del comportamento al corrottismo, prendendone ampie distanze e noi dobbiamo far parte di quell’Italia che è ancora sano nello spirito, nella cultura e nella mentalità. Percepiamo comportamenti e atteggiamenti ingiusti e sbagliati: applichiamo un pensiero “nuovo”, suscitando un riflesso tangibile. L’ego più delle volte può sopraffarci, si può anche definire solitudine di coscienza, fingendo il nostro “essere” per una cortina superficiale nel piacere dell’apparire, per essere considerati. Ma la soddisfazione più grande è essere considerati per le azioni giuste che proviamo a compiere.

Paolo Gionchetti