AREA, la storia di una band “controcorrente” pt1

di Massimo Salari

Sfido chiunque a parlare di un gruppo musicale schierato politicamente senza restare attaccato a quella ragnatela che rappresenta l’associazione d’ idee. Personalmente non mi interessa il contesto ideologico, ma quello artistico, anche se bisogna riconoscere che per comprendere al meglio il progetto Area bisogna entrare a piè pari in esso e anche nel periodo anni ’70.

Il complesso del leader carismatico Demetrio Stratos è molto presente nel sociale, moltissimi i concerti in scuole, parchi, feste patrocinate, paesane, piazze e stadi. La comunicazione dal vivo è fondamentale per promuovere un pensiero e questo il quintetto lo sa. Forse il mondo Area è utopistico, unico, giovane, nuovo, nervoso, energetico, quello che si vuole, ma sicuramente vero. Sentito dal dentro del nostro essere, comunicare facendo vibrare gli strumenti con l’anima, con la testa, con le idee.

Ogni loro concerto è saturo d’energia, chiedetelo a qualsiasi cinquantenne che ha avuto la fortuna di assistere all’evento e fatevelo raccontare. Rivoluzione, cambiamento, queste sono le parole più vicine agli Area e per questo anche il suono da loro proposto subisce radicali metamorfosi, proprio per questo è Progressive con la P maiuscola. Ricerca dunque, anche la voce (strumento intimistico per il nostro modo di comunicare emozioni) ha un apporto fondamentale, Stratos la spinge dove nessun’altro ha mai osato prima. Famoso il suo fischio glottico a diverse armoniche. “Se una ‘nuova vocalità’ può esistere dev’essere vissuta da tutti e non da uno solo: un tentativo di liberarsi della condizione di ascoltatore e spettatore cui la cultura e la politica ci hanno abituato. Questo lavoro non va assunto come un ascolto da subire passivamente, ‘ma come un gioco in cui si rischia la vita” (dalle note introduttive a “Metrodora”, Collana DIVerso n. 5 di Demetrio Stratos, 1976).

Il grande pubblico lo incontra negli anni ’60 con il gruppo I Ribelli, ma il suo ricordo sarà sempre associato agli Area. Nasce in Egitto e si trasferisce in Italia, studia architettura ma il suo vero proposito è lo studio della voce, la sua fonetica ed il volerla liberare dagli stereotipi del modello canzone. Molti vocalizzi orientaleggianti nel suo immenso repertorio e persino armoniche quadrifoniche. Muore trentaquattrenne in un ospedale Newyorchese il 13 Giugno 1979 a causa di una fulminante leucemia. Molti artisti ed amici organizzeranno un mega concerto nell’Arena civica di Milano nell’intento di racimolare dei soldi per la cura ma il tutto tardivamente. Più di 60.000 persone assistono all’evento con gente del calibro di Guccini, Banco, Branduardi, Venditti, Vecchioni, Finardi, Teresa De Sio, Tullio De Piscopo, Toni Esposito e moltissimi altri. L’evento è immortalato nel doppio lp “1979 Il Concerto” edito dalla Cramps.

E’ il 1973, la Cramps, casa discografica di gruppi “scomodi” e di innovazione, pubblica il primo lp degli Area dal titolo “Arbeit Macht Frei”. Sin dal retro copertina ci si rende conto che il prodotto è politicamente mirato: la “Kefiah” palestinese che circonda il volto del batterista Giulio Capiozzo, la falce ed il martello nel pavimento, la scritta “Arbeit Macht Frei” (il lavoro rende liberi) che capeggia sopra le porte dei campi di concentramento nazisti, lo sfondo bianco che stacca con i componenti del gruppo riversi nel pavimento con vestiti sdruciti e piedi sporchi. Ma la vera rivoluzione è quella stilistica e vocale. Forse molti rimarranno colpiti anche non positivamente dall’approccio fonetico di Stratos, mentre nelle classifiche primeggiano le voci melodiche dei vari Baglioni, Morandi e compagnia bella, ma gli Area si dissociano dai colleghi con questi impatti vocali “colti”, figli di uno studio apposito. C’è da dire che oggi, dopo trent’anni dal debutto discografico, l’importanza di questa voce viene a mancare in assoluto, dopo Demetrio il vuoto, e non lo dico per patetica nostalgia dei tempi che furono, ma proprio per una mera deficienza mai colmata. A tutt’oggi le parti vocali dei gruppi italiani sono carenti, il che è un gran peccato perché il tutto va a gravare anche su lavori di elevata fattura.

Il lato A si apre con la mitica “Luglio, Agosto, Settembre (Nero)”, cavallo di battaglia di sempre. Rafia Rashed legge un pezzo in arabo alla fine del quale la voce di Stratos si introduce prepotentemente per lasciare spazio al ritmo trascinante della canzone. essa si articola mischiando suoni arabeggianti ad altri prettamente jazzistici. Questa verrà ripetutamente suonata in tutti i concerti. La sperimentazione si presenta in tutto il suo fenomeno nel misto di suoni del secondo brano “Arbeit Macht Frei”. Jazz allo stato puro con fughe di Sax nell’evolversi dello stesso, per un insieme di forti emozioni, che da qui a venire saranno la bandiera degli Area. “Consapevolezza” con i suoi sei minuti cerca di fare aprire gli occhi all’ascoltatore e lo istiga a reagire contro il mondo che lo circonda. Ascoltando il modo di cantare di Stratos sovviene palesemente il Piero Pelù (Litfiba) degli anni a venire. “Le Labbra Del Tempo” è figlia della precedente ed il concetto si rafforza con la stupenda ritmica del duo Capiozzo Djivas (in seguito PFM). Impossibile rimanere fermi all’ascolto di questa grandinata di suoni. E pensare che questo vinile è solo l’esordio di un gruppo italiano… Cinque minuti di Jazz con la strumentale “240 Chilometri Da Smirne” per giungere alla conclusiva “L’Abbattimento Dello Zeppelin”. Fariselli con le tastiere produce nuove sonorità, il Sax accompagna il tutto, così come la voce di Stratos. Tofani picchia duro con la chitarra e rende il pezzo molto Hard. Questo debutto non passa ovviamente inosservato, nasce un mito.

ASCOLTO:  Area (Luglio Agosto Settembre Nero):   https://www.youtube.com/watch?v=kj1P7S47eZQ

                    L’elefante Bianco:  https://www.youtube.com/watch?v=XTn5oV-QQqU

Fine prima parte, il seguito la prossima settimana!!!

 

RECENSIONE

 JETHRO TULL – Heavy Horses

Chrysalis

Distribuzione italiana: si  –  Genere: Folk Rock / Prog  –  Support: Lp – 1978

Jethro Tull è stato l’inventore dell’aratro, l’istrionico ed immarcescibile leader della band, Ian Anderson si innamora della fonetica di questo nome e lo relega alla propria band. Il famoso folletto Rock che suona il flauto su una gamba, forma la band nei lontani anni ’60, inanellando dischi e successi a iosa. Non dimentichiamo la famosa “Bourèe” , “Acqualung” e moltissime altre. Ma io questa volta voglio parlare di un album sempre poco ricordato, perché in esso c’è il sunto della furbizia di Ian. Lui ha avuto sempre una grandissima capacità, quella che non hanno avuto altre band negli anni ’70, motivo per cui sono sparite, ossia di mutare la propria musica a seconda dei tempi. Va di moda il Blues? Ecco “Stand Up” ed altri, va di moda il Prog? “ e vai con “Thick As A Brick o “A Passion Play”, oppure il Metal? “Crast Of A Knave “ è li per servirvi, oppure negli anni ’80 l’elettronica colpisce? Ecco “A”. Insomma è stato un genio camaleontico, comunque sia capace sempre di portarsi appresso la propria spina dorsale, perché in qualsiasi sonorità il flauto è sempre inconfondibile!

La fine degli anni ’70 concentrano il suono verso un Rock Folk anche elettrico e due sono i dischi importanti di Anderson e soci, “Songs From The Wood” e questo “Heavy Horses”. La formazione dei Jethro Tull in quel periodo è una delle migliori, sempre a fianco c’è il fido chitarrista Martin Barre, poi l’eccentrico pianista John Evan (simpaticissimo, specie in sede live), Barriemore Barlow, uno dei più grandi batteristi inglesi di tutti i tempi, che lascerà sconvolto la band poco dopo la morte del bassista John Glascock e David Palmer, ottimo compositore e tastierista aggiunto. L’amore di Anderson per i cavalli è noto, non a caso possiede un podere in campagna dove da sfogo alla sua passione, in questo disco c’è l’esaltazione di tutto questo. Una musica spesso rilassante, comunque Rock, dove la chitarra elettrica la fa da padrona assieme agli interventi flautistici di Ian. Una macchina da guerra questi Jethro Tull, “And The Mouse Police Never Sleeps” apre il disco in maniera rustica, a dimostrare l’amalgama fra i componenti, professionisti che si conoscono a menadito. Più agreste “Acres Wild”, mentre il Rock elettrico e graffiante ritorna con la famosa “No Lullaby”. Qui Barre ed Anderson si alternano fra volumi alti e sussurrati. Il pezzo più folcloristico è “Wathercock” e qui si gode a pieno del flauto in grande spolvero, saltellante ed aggressivo come in pochi altri brani. La lunga title track “Heavy Horses” è un altro classico della band, mentre la più richiesta in sede live è “One Brown Mouse”. Questa è acustica, una grande prerogativa della discografia di Anderson, spesso molti pezzi si basano sulla sua chitarra, e gli riescono più che bene.

Un disco che non è un must, ma che si lascia ascoltare alla grande con spensieratezza, senza disdegnare passaggi articolati, messi lì, quasi a sfidare l’ascoltatore tra bucolicità e leggerezza. Da avere. MS

https://www.youtube.com/watch?v=3V_8FByoT4g&list=PL-BW_uEXq3cVxCk-t2NT5hVzH7Utu2zet

Brano consigliato della settimana

 Questa settimana diamo spazio al genere Metal perché riteniamo che sia sempre poco approfondito, dal quale invece molto spesso nascono le sorprese più grandi, quelle che poi portano anche ad un evoluzione delle tendenze sonore future. Una band che ha saputo unire coralità interessanti e tratti sinfonici ad esempio sono stati i SAVATAGE, qui ve ne facciamo ascoltare un esempio, il resto starà alla vostra curiosità:

SAVATAGE – “Chance”: https://www.youtube.com/watch?v=TboNW5AiHA8

ROCK & WORDS sono Fabio Bianchi e Massimo “Max” Salari. Insieme raccontano la storia della musica Rock e dintorni, l’evoluzione e come nascono i generi musicali, tutto questo in conferenze supportate da audio e video . Assieme sono nel direttivo dell’associazione Fabriano Pro Musica. FABIO BIANCHI: Musicista, suona batteria e tromba. Ha militato in diverse band fra le quali i Skyline di Fabriano e l’orchestra Concordia. MASSIMO “Max” SALARI: Storico e critico musicale, ha scritto e scrive in riviste musicali di settore e webzine come Rock Hard, Flash Magazine, Andromeda, Rock Impressions, Musica Follia, Flash Forwards ed è gestore del Blog NONSOLO PROGROCK. Per sei anni è stato vicepresidente di PROGAWARDS, premio mondiale per band di settore Rock Progressivo e sperimentale. PER CONTATTI: rockandwordshistory@gmail.it   o  salari.massimo@virgilio.it