LUCA SERAFINI: DAL CALCIO ALLA RELIGIONE – di Alessandro Moscè

Un solo giorno può cambiare la vita, specie se diventa l’occasione per riflettere sui cosiddetti temi totali della letteratura di sempre non tralasciando l’ironia: nascita, amore, religione, famiglia, morte. E’ questo quanto il giornalista Mediaset Luca Serafini ha raccontato attraverso il suo libro “La rivoluzione di Giuseppe” (Viator 2014), presentato in tandem da Radio Gold (Gigliola Marinelli) e Made in Fabriano (Urbano Urbani), sabato scorso all’Hotel Janus in una bella conviviale con la città. Ambientato dalle parti di Pesaro, questo romanzo è in parte autobiografico e in parte legato al battesimo del figlio di Massimo Ambrosini, ex capitano del Milan, figura presente anche se mai nominata direttamente. “Rivoluzione è una parola passata di moda. Di rivoluzioni non se ne fanno più e poco se ne teorizza, almeno dalle nostre parti. Essenzialmente perché non si comincia da se stessi. Guardandosi dentro prima e immaginando un altro modello di vita per poi realizzarlo, se si vuole. Se no è sufficiente fissarlo nella propria mente, capirlo, accarezzarlo, tenerlo presente nelle azioni che faremo”, ha detto Luca Serafini. Ecco la trama di “La rivoluzione di Giuseppe”: Luca, single e libertino, cristiano fervente ma cattolico dubbioso, è arrivato a cinquant’anni senza diventare padre. Ma ora si ritrova padrino di Edoardo, primogenito dei suoi amici Alessandro e Francesca. Il battesimo si trasforma in un’avventura dell’anima grazie alla sintonia con uno dei sacerdoti officianti, don Savino. “Sì, posso essere io il protagonista. La giornata che racconto è una giornata che di base ho vissuto, incentrata in un battesimo sulle colline marchigiane. Un evento che si trasforma in una lunga interrogazione che comincia sul come la vita sarebbe stata diversa essendo padri, per finire a riflessioni più ampie sulla fede, sulla spiritualità”, ha riferito Serafini. L’incontro con il giornalista e scrittore ci ha posto anche di fronte alla difformità sostanziale dei due mestieri: il giornalista insegue la cronaca, lo scrittore è anacronistico. Temi come la nascita e la religione, i due più pregnanti del libro di Serafini, non muoiono mai. Le notizie di cronaca durano l’arco di un giorno, se non di ore, bruciate dalla sequenza degli avvenimenti. Come può, viceversa, concludersi il desiderio di rivedere nell’aldilà un proprio caro che non c’è più, o l’esigenza di parlare con Dio? I libri hanno questo scopo: durare nel tempo, essere sempre attuali. Contengono il grande flusso della memoria e sono la lente d’ingrandimento con la quale guardare dentro di noi. Quando uno scrittore ci piace molto? Quando scrive qualcosa che avremmo voluto scrivere noi, quando ci identifichiamo in lui. Luca Serafini ha unito al di là della rivalità sportiva, ben oltre la passione per il calcio: chi milanista, chi interista, chi juventino, chi, come me, da laziale, nettamente in minoranza. Ecco un aforisma che piacerebbe al nostro amico, uomo colto, sull’arte dello scrivere, ed è di Stephen King: “Denuda uno scrittore, indicagli tutte le sue cicatrici e saprà raccontarti la storia di ciascuna di esse, anche della più piccola. E dalle più grandi avrai romanzi, non amnesie. Un briciolo di talento è un buon sostegno, se si vuol diventare scrittori, ma l’unico autentico requisito è la capacità di ricordare la storia di ciascuna cicatrice”.
Alessandro Moscè