On Air

Messa in diretta su Rai1 dalla Cattedrale di Fabriano, l’omelia del vescovo Massara

Omelia di mons. Francesco Massara, vescovo di Fabriano-Matelica, durante la Messa trasmessa questa mattina in diretta su Rai1. 

Carissimi fratelli e sorelle,
mi rivolgo a quanti sono qui presenti e a chi ci segue da casa tramite la diretta televisiva.
Carissimi atleti e sportivi che celebrate il vostro Giubileo, a tutti voi rivolgo un caloroso
saluto!

Nel Vangelo proclamato, sono diversi gli spunti che potremmo adoperare per
sviluppare una riflessione significativa in occasione di questo incontro, che vede
riuniti, in questa palestra di fede che è la liturgia, i rappresentanti del mondo dello sport
per vivere un momento denso di spiritualità.
In primo luogo, mi soffermerei sul fatto che i discepoli di Gesù non sono soltanto
dodici, ma molti di più. Nella pagina tratta dal Vangelo di Luca, il Signore sente il
bisogno di mandarne altri settantadue davanti a sé, in tutti i luoghi in cui sta per recarsi.
È una cifra simbolica che indica il senso della totalità: Gesù amplia la missione a tutti
i credenti volendosi far conoscere da tutta l’umanità.
Insieme a questa prima incoraggiante indicazione che ci mostra quanta fiducia ha Dio
nella nostra umanità, nel “vademecum” che Gesù affida ai discepoli prima di inviarli,
c’è una raccomandazione semplice ma essenziale che sembra rispecchiare
profondamente il senso di questo Giubileo ed è in armonia con la liturgia di questa
domenica: l’invito a portare la pace. Purtroppo, sappiamo bene quanta pace sia
necessaria al mondo…

Un aspetto significativo di questo invito evangelico è che la pace che siamo invitati a
portare è un bisogno nascosto dentro ogni cuore, dietro ogni porta, in ogni casa. Nella
quotidianità si celano fatiche, sofferenze e speranze. Ogni cuore, in modi diversi,
desidera la pace, quella vera, che nasce dalla consapevolezza di essere amati, perdonati,
riconciliati con Dio. Cristo ci dona la sua pace, frutto della croce, e ci chiama a
diffonderla dove viviamo. La pace è quindi il primo passo per una società più umana,
capace di accoglienza, che cresce nel rispetto di ogni fratello e sorella e che si realizza
appunto nella fraternità.

L’accoglienza è perciò la pietra angolare della civiltà, la prima parola di una società
giusta. Dove non si pratica l’ospitalità, si favorisce il conflitto, e dove manca la pace,
la vita non può fiorire.

Per adempiere a questo mandato di pace, Gesù invia i discepoli a due a due: la loro
comunione è già annuncio del Regno. Il Vangelo, che ha nell’amore il suo centro, si
testimonia attraverso vite in relazione, cioè persone che si aiutano e si sostengono, che
cercano, nonostante le divergenze, di accogliersi, rispettarsi, volersi bene.
Carissimi fratelli e sorelle, lo sport – specialmente quello di squadra – è una
straordinaria scuola di vita e di umanità, insegna il valore della collaborazione, del
camminare insieme, di quella condivisione che è il cuore della vita in Dio e nella
Chiesa. Nello sport non conta la provenienza, la lingua o la cultura. Ciò che conta è
l’impegno, il gioco di squadra, il raggiungimento di un obiettivo comune.
Lo sport è una potente metafora della vita: ci ricorda che, nonostante le differenze,
siamo parte della stessa famiglia umana ed è strumento credibile di inclusione,
rompendo ogni barriera e celebrando la diversità. In questo tempo storico difficile,
speriamo che lo sport possa contribuire a costruire ponti, abbattere muri, promuovere
relazioni di pace.

Cari fratelli e sorelle, ogni celebrazione eucaristica con i suoi gesti è un invio
missionario; il congedo finale – “la Messa è finita andate in pace” – non è un semplice
invito ad uscire, ma a vivere secondo i principi cristiani, portando la pace ovunque. E
non serve guardare ai grandi scenari internazionali per vivere questo impegno. Come
credenti, uscendo da questa celebrazione – come da ogni Eucaristia – siamo inviati a
portare la pace nei luoghi più vicini: penso alle nostre case, dove a volte si innescano
liti familiari o condominiali; agli incontri quotidiani, alle relazioni con i colleghi nei
posti di lavoro, alle tensioni tra compagni di classe o di squadra, e in ogni ambiente
che frequentiamo.

Oggi, non possiamo dimenticarlo, la pace va portata anche negli ambienti virtuali come
i social media, che fanno parte dei luoghi che abitiamo e che spesso diventano campi
di battaglia in cui amici virtuali o sconosciuti “leoni da tastiera” si scontrano in conflitti
banali e insensati.

Carissimi atleti, possa questo incontro giubilare ravvivare in voi la consapevolezza del
vostro impegno e incoraggiarvi a costruire comunità solidali, testimoniando valori
cristiani – e quindi profondamente umani – come la lealtà, il sacrificio, lo spirito di
squadra, l’impegno, l’inclusione e il riscatto.

Lo sport diventi un veicolo prezioso per la pacifica convivenza tra i popoli, al di là di
ogni barriera di razza, lingua, nazione, religione o condizione sociale.

Buon cammino!