Violenza di genere nel territorio: Il punto dell’Associazione Artemisia
In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, abbiamo contattato l’Associazione Artemisia di Fabriano per una riflessione, con dati concreti ed al netto di un sommerso non rilevabile, sulle segnalazioni di violenza di genere nel territorio pervenute allo Sportello Antiviolenza.
Quante donne vittime di violenza si rivolgono allo Sportello Antiviolenza operativo a Fabriano?
In totale, dal 2015, si sono rivolte al nostro Sportello 130 donne. In questo anno, finora, sono 22. Le donne italiane sono 17 e 5 di altra nazionalità. La fascia di età prevalente è tra i 40 e i 59 anni e le violenze denunciate sono prevalentemente fisiche e psicologiche. Un terzo di loro dichiara la cosiddetta violenza assistita, di cui sono vittime i figli spesso minori. Si parla di violenza assistita quando i figli, pur non subendo in modo diretto maltrattamenti, assistono alla violenza, la respirano, la interiorizzano, determinando in loro un importante disagio psicologico con ripercussioni importanti anche nella loro vita relazionale.
Si sono scatenate molte polemiche riguardo alcune dichiarazioni rilasciate dal ministro dell’Istruzione Valditara e dal premier Meloni che mettono in correlazione l’immigrazione illegale con gli abusi e le violenze sulle donne. Che opinione avete in merito?
Pensiamo che chi ricopre un ruolo istituzionale, in questo caso un ministro della Repubblica, abbia una grande responsabilità comunicativa nei confronti dei cittadini e dell’opinione pubblica; a maggior ragione se il ruolo ricoperto è di ministro dell’Istruzione. Inoltre il contesto in cui ha espresso il suo pensiero rende ancora più grave il suo messaggio: a ridosso del 25 novembre e mentre il padre di Giulia Cecchettin presentava alla Camera la fondazione dedicata alla figlia. È riuscito ad affermare due cose aberranti: che il patriarcato non esiste ed è solo un’espressione ideologica e che la violenza di genere è legata al fenomeno dell’immigrazione (concetto ribadito dalla Presidente de Consiglio). Superfluo far notare al ministro che, come si evince sia dai dati in nostro possesso sia da quelli rilevati a livello nazionale, la violenza non fa differenza tra etnia, religione, condizione sociale o culturale, caratterizzandosi per un’assoluta trasversalità. E l’assassino di Giulia era bianco, italiano e di buona famiglia e considerava Giulia una sua proprietà, come la maggior parte degli uomini maltrattanti (questo cos’è se non patriarcato?). Italianissimo Franco Panariello che ha assassinato la nostra Concetta, italianissimo Impagnatiello che ha assassinato la sua compagna al 7° mese di gravidanza, Giulia Tramontano. Tanto per citare alcuni dei casi di cui si sono interessanti in maniera pressante i media.
Corrisponde al vero, in base anche alle segnalazioni che ricevete, che i fenomeni di violenza sessuale siano legati a certe forme di marginalità sociale?
Notiamo con una certa preoccupazione che si è molto abbassata l’età degli stupratori e delle vittime. Questo ci fa riflettere sull’esistenza di un’emergenza educativa, anche qui non necessariamente legata alla marginalità sociale, ma ad un degrado culturale di una parte del mondo adulto che non è stato in grado di educare alle relazioni sane, al rispetto dell’integrità della persona e all’accettazione dei NO. Un’idea di possesso del corpo altrui, di affermazione di potere sono alla base della violenza sessuale, devastante e traumatizzante per chi la subisce. Per la prima volta abbiamo avuto donne che si sono rivolte allo sportello raccontando di violenze sessuali ed abbiamo sentito l’esigenza di una formazione specifica che ci consentisse di accogliere ed ascoltare le vittime con adeguati strumenti. Si è parlato molto di Caivano ma dobbiamo fare attenzione proprio a non confondere la violenza di genere, quindi anche la violenza sessuale, con le situazioni di degrado sociale e di marginalità e circoscrivere il fenomeno all’interno di queste situazioni. La violenza può riguardare tutti, non dimentichiamo certi figli illustri che certamente non hanno nulla a che vedere con la marginalità ma che sono evidentemente espressione di una cultura maschilista, in cui la donna non assurge mai a soggetto ma è considerata oggetto su cui esercitare un potere in una situazione di abuso e prevaricazione.
Le donne hanno ancora oggi paura di denunciare atti di violenza?
Le donne hanno paura se sanno di non avere una rete di protezione rispetto alla reazione del maltrattante. Il percorso che intraprende una donna che si rivolge allo sportello può essere più o meno lungo, più o meno complesso e la eventuale decisione di querelare deve tenere conto della salvaguardia della sua incolumità. Un altro aspetto molto importante è la percezione da parte della donna di essere creduta e di non veder minimizzata o sottovalutata la sua situazione. Per questo esiste una valutazione del rischio e la conseguente presa in carico della donna (e spesso dei figli minori) dalla rete territoriale (servizi sociali, forze dell’ordine, consultorio, procura, ecc.) Ma non possiamo tacere la circostanza che le donne spesso, ancora oggi, non vengono credute, proprio dalle Istituzioni che dovrebbero proteggerle.
Esistono strumenti di difesa e protezione per le donne vittime di violenza che hanno avuto il coraggio di denunciare i propri carnefici come il braccialetto elettronico. La cronaca purtroppo ci pone di fronte a delitti efferati commessi nonostante i divieti di avvicinamento anche con braccialetto elettronico. Cosa non sta funzionando?
Le misure cautelari come il braccialetto elettronico hanno dimostrato inefficacia (pensiamo al femminicidio della nostra cara Concetta) non per motivi di mal funzionamento, ma perché per il femminicida il braccialetto non è un deterrente: spesso pensano di non avere nulla da perdere, ma soprattutto non tollerano che la donna sulla quale hanno esercitato il loro dominio abbia ripreso in mano la sua vita e voglia essere libera. E sono talmente sicuri delle loro ragioni che, lungi dall’essere vittime di raptus, organizzano e pianificano il femminicidio. Per essere chiari nel caso di Concetta, il suo assassino Franco Panariello, il giorno dell’omicidio non aveva provveduto a caricare il dispositivo (ed è stata l’unica volta in cui non vi ha provveduto come emerso durante il suo esame in dibattimento, segno evidente della pianificazione messa in atto). Di conseguenza il dispositivo non ha suonato alla distanza dei 200 metri (che comunque erano pochissimi) ma solo quando lui era già nella camera dove ha ucciso Concetta nel sonno. Cosa non funziona? Il fatto che si sottovaluta la determinazione dell’uomo anche quando minaccia di morte, stalkerizza, controlla, perseguita anche quando la donna lo ha querelato. Poi non sempre le misura cautelari vengono disposte. E’ assolutamente necessario fermare i maltrattanti quando vi sono situazioni di rischio e smetterla di non credere, di sottovalutare.
Riguardo le case protette, come viene vissuta questa opportunità di messa in sicurezza dalle donne vittime di violenza?
Le case protette o le case rifugio sono importanti per mettere in sicurezza una donna che rischia la vita nell’immediato; è evidente che la vita è l’assoluta priorità in certe situazioni, ma anche qui sottolineiamo come entrare in una casa rifugio significa vedere stravolta la propria vita: il lavoro, le relazioni sociali, la scuola dei figli, le loro amicizie ed attività; è giusto far pagare le conseguenze della violenza alla vittima e ai suoi figli, vittime anche loro, sconvolgendone la vita? Dovrebbe essere il maltrattante ad essere allontanato e posto in condizione di non nuocere.
Quali iniziative avete organizzato in occasione della giornata del 25 novembre?
Come lo scorso anno abbiamo concordato con l’Ambito di celebrare la ricorrenza del 25 novembre leggendo in contemporanea nei comuni di Fabriano, Cerreto, Sassoferrato, il 25 mattina alla stessa ora i nomi delle 97 donne uccise nel 2024, perché non siano numeri di una statistica, ma persone con un nome e un cognome. Siamo state presenti anche a Serra San Quirico (25 pomeriggio) e saremo a Domo il 29. Inoltre il 22 novembre abbiamo incontrato i dipendenti IKEA azienda che ci sta supportando nella realizzazione di un importante progetto. Come ogni anno alcune scuole superiori di Fabriano ci hanno invitato alle loro assemblee d’istituto; il 25 pomeriggio abbiamo incontrato il Consiglio Comunale junior presso il CAG per una lettura di un testo prodotto da due nostre volontarie Myriam Fugaro e Elena Grilli, occasione per un dialogo con i giovani Consiglieri e il pubblico giovanile presente. Inoltre partecipiamo ad un progetto del CAV di Ancona e l’Ambito che prevede interventi in alcune classi del Liceo Stelluti da realizzarsi entro il 2024. Abbiamo chiesto all’Amministrazione di esporre, come da qualche anno a questa parte, il drappo rosso che scende dal Palazzo del Podestà fin sopra l’arco e infine abbiamo curato l’installazione di scarpe rosse in centro storico e l’invito alla cittadinanza a partecipare per realizzare una sorta di installazione diffusa. Scarpe rosse come pietre d’inciampo che costringono chi passa a riflettere.
Possiamo lasciare dei vostri contatti per le donne che desiderano chiedere aiuto e supporto per uscire da situazioni di abusi e violenze domestiche?
Si può chiamare il numero 370 311 9276, rispondiamo lunedì e venerdì dalle 15 alle 17 e il primo sabato del mese dalle 10 alle 12 (è possibile lasciare un messaggio in segreteria telefonica o su whatsapp). Si può inviare anche una mail a artemisiafabriano@gmail.com o contattarci attraverso la pagina facebook Associazione Artemisia ed il sito www.artemisiafabriano.wordpress.com
Gigliola Marinelli