NO, NON VINCE CHI SI UCCIDE – STOP AL VIRUS BLUE WHALE
di Paola Rotolo
Il terribile, folle “virus” Blue Whale, che ci rifiutiamo di definire “gioco” perché di ludico non ha davvero niente, dopo aver mietuto vittime in molti stati è purtroppo arrivato anche in Italia. La prima tragedia lo scorso 7 Marzo, quando un 15enne di Livorno si è suicidato gettandosi dal 26° piano del grattacielo della Città; a far attribuire il fatto al macabro fenomeno-web, la testimonianza di un suo amico, che ha raccontato di foto di visuali scattate dai tetti dei palazzi e di film horror visti la mattina prestissimo, comportamenti del giovane che coincidono con le assurde regole dettate dalla pratica, fino al tragico epilogo documentato da un video.
Ora a preoccupare è un nuovo caso, stavolta a Pescara: a cadere nella rete una ragazzina di 16 anni, residente nella Città, ricoverata nei giorni scorsi per evidenti lesioni agli avambracci prima al Pronto Soccorso del Santo Spirito, poi all’Ospedale Salesi di Ancona, dove i medici hanno preferito trasferirla per farla seguire nell’eccellente reparto di Neurochirurgia infantile.
Ad allarmare alcune sue amiche sono stati i tagli sospetti sulle braccia della giovane ed alcuni suoi comportamenti anomali, degenerati poi nell’annuncio di volersi gettare dall’ottavo piano di un palazzo. Un gesto che la ragazza sarebbe stata disposta a compiere se solo i genitori non fossero stati informati in tempo e non l’avessero fermata. Il Tribunale dei minorenni de L’Aquila insieme alla squadra mobile di Ancona stanno indagando sulla vicenda per chiarire se la ragazza sia stata attirata nella folle rete da qualche adescatore, nello specifico detto tutor o curatore, oppure sia rimasta vittima dei suoi stessi click.
Parlando con un medico abbiamo appreso che ora la ragazza dovrà affrontare l’iter previsto nei casi di tentato suicidio per il recupero psichiatrico, solitamente affidato ad uno staff di più professionisti che di caso in caso valutano la terapia sia farmacologica che colloquiale. Del fenomeno si è occupata anche la trasmissione Le Iene che ha diffuso un servizio-denuncia di Matteo Viviani, riportando la testimonianza di alcuni genitori che così hanno perso i loro figli.
Le ultime sulle condizioni della ragazza.
La dottoressa Nelia Zamponi, Primario di Neuropsichiatria infantile del Salesi di Ancona, si è espressa con parole rassicuranti sulle condizioni della ragazza di appena 13 anni, che ha fin da subito collaborato con i sanitari ammettendo la sua inoltrata partecipazione a Blue Whale. L’adolescente ora sta bene, è vigile ed è stata sottoposta ad esami psicodiagnostici, dall’esito dei quali si stabiliranno man mano le eventuali terapie da seguire. Con lei, costantemente presente, la mamma, che ha rischiato di perdere sua figlia per un’assurdità frutto del web. La Dottoressa Zamponi ha inoltre specificato che si tratta del primo caso di “vittima”, termine fortunatamente da intendersi nella sua accezione meno grave, di Blue Whale capitato nel presidio ospedaliero, e ci auguriamo tutti che sarà anche l’ultimo.
Quella di Blue Whale è una sfida di morte nata in Russia, dove ha drammaticamente segnato la maggior parte delle vittime, tutte adolescenti, tra le ultime delle quali un ragazzo kenyota appena 16enne, uccisosi qualche giorno fa con le modalità previste; arrivato anche in Francia, Gran Bretagna e Brasile Blue Whale conta ad oggi 157 vittime in totale, un quadro a dir poco agghiacciante.
Perché si chiama così?
Il nome Blue Whale, che attualmente è sinonimo di “allarme suicidio”, tradotto letteralmente significa balena blu e si ricollega alla loro peculiarità di andarsi a spiaggiare senza apparente motivo, per poi morire. Comportamento che solitamente è attribuito ai cetacei che si “perdono”, che non riescono a ritrovare il loro gruppo: una quanto mai macabra metafora di quella che possono percepire molti adolescenti come la loro situazione esistenziale. Di certo c’è che questo fenomeno li incita al suicidio, quindi non bisogna sottovalutarne i segnali.
In cosa consiste Blue Whale?
In 50 “prove” da superare in 50 giorni, tutte ad alto tasso di violenza ed autolesionismo: dal praticarsi tagli sul corpo fino ad alzarsi tutte le mattine alle 4:20 per guardare video psichedelici e film horror. Ogni prova deve essere sempre documentata da foto spedite al “curatore” ed il non superamento delle prove prevede delle severe punizioni da auto-infliggersi. Il climax di follia cresce con l’avanzare dei giorni, fino all’obbligo di incidersi letteralmente una balena sulla pelle ed infine salire sull’edificio più alto della città e saltare nel vuoto. Un vero e proprio “virus” che passa tramite il web ed i cui untori sono persone senza scrupoli che manipolano la mente delle persone più deboli e quindi facilmente condizionabili, tutti adolescenti tra i 9 e i 17 anni. Un lavaggio del cervello che viene alimentato dalla morte altrui, perché pare che chi arrivi all’ultimo giorno venga celebrato dagli altri partecipanti come un eroe.
Chi c’è dietro questo macabro rituale?
È molto difficile risalire ai “curatori” o “tutor” che dettano le regole, proprio perché i loro adepti sono obbligati a non dire nulla in famiglia e soprattutto a cancellare le tracce di ogni prova nel momento del suo superamento, cosa che rende molto difficoltoso il lavoro degli inquirenti. Per ora è stato arrestato Philipp Budeikin, un 22enne probabilmente creatore del fenomeno, che al momento dell’arresto, seppur dichiarandosi colpevole di aver portato al suicidio un numero sconsiderato di persone, non ha mostrato segni di pentimento. A testimoniarlo le sue stesse parole, con le quali ha definito “scarti biologici” le vittime, affermando di non considerarle nemmeno persone: “I ragazzi sono felici di morire. Il mio obiettivo è quello di pulire la società.”.
Cosa fare per prevenire?
Nonostante le intricate dinamiche del web non aiutino, come sempre la conoscenza del fenomeno è la prima arma di difesa, quindi parlarne è fondamentale per permettere a chi riconosca dei segnali che potrebbero ricondurre a questa assurda escalation di autolesionismo di allarmarsi immediatamente. “Guardate le pagine e gli amici dei vostri figli su Facebook. Guardate anche cosa condividono. State attenti, ma non fate troppe domande. Fateli sentire amati”: questi i consigli della mamma di una delle vittime. Blue Whale è anche stato anche recentemente circoscritto da alcuni come “fake news”, ma di certo le sue vittime di fake non hanno nulla, se non la visione distorta di quello che sarebbe dovuto essere solo l’ennesimo, ridicolo, pericolosissimo fenomeno da evitare. E per contrastare questo virus è già emersa la sfida della “Pink Whale”, iniziativa positiva nata in Sud America da parte di due ragazzi che si prefigge, al contrario, di diffondere il bene mediante buone azioni per sé e per gli altri. Un bellissimo segnale della volontà di riportare la speranza.