Fabriano, il primo Statuto del 1415
Il primo Statuto che regolamentava la struttura organizzativa, giuridica, amministrativa della città di Fabriano, risale al 1415, atto voluto e promulgato da Tomaso “De Clavellis” Chiavelli, figlio di Nolfo. Il testo di questo documento, giunto a noi mancante di alcune pagine, rappresenta il sigillo visibile di una Autorità forte su Fabriano e di una presenza sul territorio che vuole farsi sentire anche grazie alla promulgazione di un corpus juris con il quale si cercò di dare una testimonianza di legalità, ma anche di sovranità. Il primo statuto arriva al comune di Fabriano soltanto nel 1415, altre realtà della Marca hanno provveduto prima, Osimo nel 1308, Matelica nel 1358 e Fermo nel 1383.
Lo statuto contiene obblighi civici, normative riguardanti quartieri e categorie di popolazione ben precise. Dopo il 1415 in epoca Francesco Sforza, ci fu il successivo statuto del 1436, che viene subito dopo la fine dei Chiavelli seguente all’eccidio in Cattedrale del 1435 e al susseguente allontanamento definitivo della famiglia. Fabriano si affrettò così a darsi propri regolamenti e a cancellare le tracce dell’odiata Signoria. Ritornando al primo Statuto quello voluto dai De Clavellis – Chiavelli, si evidenzia un’attenzione ai ceti più deboli, orfani, vedove, ci si preoccupa del sentimento civico e religioso della popolazione, proibendo la bestemmia, la prostituzione. Lo Statuto predispone anche che le spoglie di San Romualdo, per il prestigio cittadino, vengano trasferite in città a spese del comune. Vi è attenzione e un certo riguardo anche per la donna, sottoponendo quelle più benestanti a limitazioni nello sfoggio di accessori e indumenti lussuosi. Per chi detiene incarichi pubblici, vi è un limite visto che non si possono detenere incarichi doppi, i Podestà durante il loro mandato non possono accedere a prestiti personali nell’ambito del territorio del comune.
Sono presenti anche normative di diritto penale, le pene collegati a reati sono raddoppiate se questi vengono commessi in chiesa, nel mercato o nei palazzi pubblici, mentre in occasione di tumulti o sedizioni ai ladri viene prevista la pena capitale. Vi sono nome riguardanti la sicurezza interna, come il divieto di girare con armi all’interno delle mura o di uscire da casa dopo il “terzo rintocco” della campana comunale. E’ proibita la vendita di carne fuori città, probabilmente essa al tempo scarseggiava in città. Lo statuto proibisce il gioco d’azzardo, il dare e concedere prestiti a giocatori abituali e fa attenzione a regolamentare anche la caccia e la pesca.
Si mira ad accogliere in città professionisti: medici, chirurghi e maestri di grammatica, garantendo loro alcuni privilegi oltre che l’alloggio, qui vi è l’attenzione dei Chiavelli a istruire i propri cittadini, tra l’altro questi maestri erano tenuti a insegnare anche le buone maniere e i corretti comportamenti sociali. Lo statuto era molto attento anche al fenomeno dell’immigrazione, essendo Fabriano città attiva a livello artigianale e mercantile, diversi erano i soggetti che si stabilirono in centro, tra cui molti albanesi, dalmati e bosniaci, slavi, magari attratti anche da lavori di bassa manovalanza. Infatti lo storico Oreste Marcovaldi ritenne che la “via della Bosima” in pieno centro storico nei pressi della chiesa di San Biagio, dovesse il proprio nome alla provenienza dalla “Bosnia” dei suoi abitanti, i quali erano proprietari di ben 400 abitazioni.
Francesco Fantini