ROBERTO STELLUTI, DUECENTO STAGIONI DI GRAFICA

Il Comune di Fabriano e il Museo della Carta e della Filigrana, nell’ambito delle iniziative Unesco Creative Cities Conference 2019, ha invitato l’artista Roberto Stelluti ad esporre una selezione di quarantuno opere scelte all’interno della sua vasta produzione. Le opere selezionate dallo stesso autore partono dagli esordi del 1969, alcune di esse esposte per la prima volta, fino ai nostri giorni, esattamente cinquanta anni di lavoro. Molto appropriato il titolo della mostra che vuole essere un doveroso omaggio che la città della carta intende dare a chi ha fatto dell’arte dell’incisione la sua professione e la sua ragione di vita. La mostra, al Museo della Carta e della Filigrana, rimarrà aperta fino al 31 agosto prossimo. Le opere realizzate alla fine degli anni sessanta presentano una attenzione alla realtà sociale circostante come il mondo contadino o come le scene di vita della classe operaia, lo scenario urbano nella sua cruda realtà, il territorio con il paesaggio fabrianese, le prime periferie, i luoghi cari all’artista.

Nei primi anni settanta si assiste ad un mutamento nella scelta dei soggetti: la realtà urbana con i suoi attori lascia il posto alla natura che diventerà poi una delle cifre poetiche di Roberto Stelluti. Importanti sono le prime archeologie industriali espresse in fogli come “Periferia a Fabriano” del 1971, “Lo scarico” dello stesso anno, “la fornace abbandonata” del 1972, “Pomeriggio sul campanile di San Benedetto a Fabriano” del 1979, gli ipogei a Frasassi degli anni 1974 – 1975. Alla metà degli anni 70 si trovano le nature morte, anche questo un tema che ha avuto una parte importante nella poetica di Stelluti, in queste incisioni, conosciutissime come “Girasoli disseccati con ramarro”, si legge la precisa volontà dell’artista di utilizzare la natura come metafora della vita umana. Il girasole e il ramarro sono esseri colti nel loro ultimo respiro e divengono anche simboli melanconici dell’estate appena trascorsa. Temi che vedremo svilupparsi con l’accostamento di soggetti provenienti dal mondo animale con il mondo vegetale. Nel 1978 – 1979 sono realizzate le opere ispirate agli “sfascia carrozze”, un esempio per tutte: “Francesco sulle carcasse” del 1978, altra metafora sulla morte. Degli stessi anni opere con il tema della spiaggia, “Italiani, brava gente” del 1978 e la seconda versione del 1979. Nel brulicare delle persone rappresentate, nell’ambientazione caotica, nell’idea di uno spazio minimo destinato a ciascuno riaffiorano alla mente immagini di lazzaretti e campi di concentramento. Degli stessi anni verranno esposte opere in omaggio al territorio fabrianese: “Il Giano in cartiera”, “Via del Lazzaretto” e “Omaggio ad Altdorfer”, ispirata allo stesso luogo.

Il tema dell’archeologia industriale troverà una maturazione espressiva negli anni 1978 – 1981, in particolare le opere realizzate tra il 1980 e il 1981 come la bellissima incisione “Omaggio a G.B. Piranesi” palesemente ispirata all’opera dell’Artista settecentesco, in particolare alle carceri d’invenzione, il vortice di travi che si incrociano nel punto di fuga delle linee prospettiche contribuisce a rendere l’osservatore parte integrante della composizione, ne risulta un senso di vertigine, di inquietudine propria di chi si trova imprigionato in un labirinto-trappola dal quale è impossibile uscire. A tale proposito Fabrizio Clerici scrisse della capacità di Roberto Stelluti di trasmettere, in un composito equilibrio di segni il malessere, l’ansia e la malinconia che spesso accompagnano la vita dell’uomo e con le quali si è abituato a convivere. Negli anni 80 ritornano le nature morte. Questi sono gli anni in cui Stelluti lavorava nel suo studio all’interno della chiesetta (sconsacrata) del Suffragio, nella Piazzetta delle Cocce, accanto la Cattedrale e tra teschi, oggetti di ogni tipo sparsi in ogni dove, in quel luogo austero hanno trovato vita le nature morte come “Oggetti nello studio”, “Omaggio a Morandi”, “Pesci dell’Adriatico”, “Astici”, “Cassette e cesto di noci”, opere collegate tra loro. Ciò che emerge, infatti, non è solo la volontà dell’artista di riportare, attraverso il segno grafico, il contesto che lo circonda, ma mira a trasmettere l’emozione che tale contesto gli ha suscitato. Nel caos di barattoli e di bottiglie si incontrano un teschio di scimpanzè e uno umano: è l’immancabile raffigurazione di “memento mori”. Sul finire degli anni 80 la scelta raffigurativa si sofferma sulle Rovine, anche in queste opere ritorna il “memento mori” che sarà presente, costantemente, fino alle opere più recenti. (cs)