BRIVIDI E FAVOLE BIANCHE

Lì per lì mi era sembrato di non aver capito, poi di aver sbagliato canale, infine di aver frainteso. Così ho pensato che la mia fosse stata una percezione distratta, troppo fuorviata dai pregiudizi personali. Allora qualche giorno dopo ho ripetuto l’impresa, da capo. Esatto me lo sono rivisto tutto, da solo, in silenzio, concentrato. Risultato? Quello di prima, il servizio “Fuori Roma” di Concita De Gregorio sul Fabriano manda due chiari messaggi: 1) I Merloni, ieri padri del territorio, oggi ne sono i salvatori. 2) Il movimento 5 stelle venuto dal nulla appare come il legittimo erede della politica democristiana. Ora ecco respirate piano. Non so a voi, ma a me questi due messaggi fanno ribrezzo, hanno qualcosa di abominevole, dal punto di vista morale e dal punto di vista teorico.

Dal servizio si evince dunque che la globalizzazione è un mostro raro che non ha nome e cognome viene da lontano e colpisce malignamente le città industriose. Quindi la crisi del territorio non è motivata da cattive politiche industriali, da cattive scelte territoriali, da errori, egoismi e speculazioni finanziarie, no, è qualcosa come il male oscuro dei racconti di Lovecraft, una entità di Cthulhu. Bene. Pertanto se crediamo a questa favola allora ci sarà anche semplice credere alla meravigliosa terapia proposta nella seconda parte del servizio e cioè che chi ha abbandonato il territorio vendendo a Svizzeri e Americani è ora pronto a salvarlo in nome della propria bontà e disinteresse. Ancora una bella favola bianca e democristiana perché il territorio pare averne ancora bisogno e le favole, soprattutto se imbiancate da oblio, ignavia e complicità, non finiscono mai.

La tv aiuta a dimenticare e questo lo sapevo, ma sentire dire impunemente che gli eventi culturali (tipo Poiesis) che ci sono stati propinati come alternativa alla chiusura delle aziende siano stati finanziati dalla famiglia certo fa saltare dalla sedia. La città, lo sappiamo bene, ha dovuto in parte finanziare anche quelli. “Quanto ha dato la regione Marche, capitanato dal delfino Spacca?”, chiedevo anni fa, sul Settimanale L’Azione, per dire. E quello che è più grave non si è creato nessun circuito sul territorio per integrare il turismo umbro già sviluppato con quello di casa nostra. Mostre, eventi, kermesse, volti noti e arcinoti della Conca, notabili e cortigiani, marchette dei giornalisti locali, marchette dei musicisti e degli artisti/amici romani acchiappabriciole, piccoli momenti di gloria, certo ma dopo? L’oblio come al solito.

Ora che il circuito delle città creative Unesco, ancora un a volta capitanato dalla famiglia e dalla giunta pentastellata in nome di una conversione culturale a 360 gradi del territorio sia la chiave del futuro a me pare, come minimo irrealistico, per non dire grottesco. E a chi ci obbietterà di essere i gufi di sempre, gli invidiosi e rosiconi di ogni epoca, rispenderemo che ricordare è invece un obbligo morale.

Chi ha impedito l’affermarsi nel tempo di una cultura diversa, non dico rossa, ma almeno grigia, gialla, violetta, verde, del territorio? Chi ha cancellato tutte le tracce dell’artigianato? Chi ha impedito che si affermassero produzioni industriali diversificate? Chi ha gestito le opposizioni politiche come se fossero contrade del giardino di casa? Chi ha detto no alla costruzione di giornali, testate, TV  e periodici autonomi della città? Vogliamo, per dire, ricordare la vicenda del settimanale comunista ‘Il progresso’, finito nelle mani di Maria Paola Merloni? Chi ha finanziato soltanto le “sue” iniziative, i suoi asili, la sua  formazione intralciando tutto ciò che non aveva il sapore della propria identità feudale e democristiana? Chi ha impedito che crescessero teste, prospettive, identità, associazioni, singolarità, esperimenti, situazioni diverse? Dunque oggi il peana del vecchio patriarca o della madrina Unesco sul rilancio culturale del territorio sa di patetico. Ed è inquietante che una giornalista professionista non abbia voluto cercare domande, interrogativi e interpretazioni altrove.

Una cosa che tendenzialmente mi scoccia è essere preso per i fondelli. E questo servizio dava adito a una “grande illusione”, utilizziamo un eufemismo. Il messaggio che i padroni di ieri possano essere i salvatori di domani è irrealistico e anche un po’ offensivo. Se c’è qualcosa da restituire quella è l’autonomia di pensiero e azione a una cittadina considerata da sempre un feudo personale. Il sindaco Cinque Stelle che viene presentato come il ragazzo d’oro, già militante dell’azione cattolica e ora erede di una dinastia che ha cavalcato tutte le forze politiche del mezzo secolo che ci sta alle spalle (dalla DC, ai Popolari, al Pd, a Monti fino al Patto Marche 2020, per finire con Grillo) è una immagine inquietante che viene consegnata alla città. E che a me dà i brividi. A Santarelli dunque l’onere di spiegarci che quando lo abbiamo votato, non si trattava dell’ennesimo gattopardismo.

Alessandro Cartoni