HUBERT DE GIVENCHY, L’ULTIMO DEI COUTURIER

Se n’è andato nella notte dello scorso 10 Marzo un altro pezzo significativo della storia della Moda con la scomparsa di Hubert de Givenchy, celebre stilista che ci ha regalato 91 anni di meraviglie destinate a lasciare un segno indelebile, fondatore nel 1952 della nota casa di moda che porta il suo nome: Givenchy.

Monsieur Hubert, sublime esponente di quella Moda d’altri tempi che tanto l’odierno fashion system rincorre; emblema di quella supremazia estetico-qualitativa propria del primo Haute Couture, tutt’ora ricercatissima; baluardo di concetti stilistici ormai dimenticati.

Una perdita sentita, questa, forse dell’ultima tra le colonne portanti della Moda cosiddetta vintage, quella che ritorna a ondate, che non passa mai. A lasciare una nota struggente il suo compagno, anche lui stilista, Philippe Venet, che nel dolore si stringe ai figli ed ai nipoti.

Una carriera brillante quella intrapresa dal couturier, che ha saputo affermarsi da protagonista in un’era fertile, dagli orizzonti aurei, nella Francia post-Seconda Guerra Mondiale.

Un uomo che ha lottato per seguire le proprie passioni, affrontando anche la rigidezza di una famiglia perfettamente in linea con il clima protestante proprio del periodo.

Dal suo estro nascevano mazzi di piume che passavano inosservati come fossero i più semplici tra i vezzi, e capi dai modelli puliti, minimal, che attiravano l’attenzione tra mille altri per la loro carica di sensualità. Un perfetto gioco degli opposti, dominabile solo da mani esperte.

Padre di un’eleganza che oggi va spiegata, motivata, ma che allora non necessitava di licenze, sapeva bastarsi ed autogiustificarsi con la sua stessa essenza. E non a caso Givenchy definiva guanti e cappelli come accessori assolutamente indispensabili, la cui presenza era legittimabile di per sé.

Concezioni proprie del tempo in cui il “su misura” era davvero il precursore di qualcosa di unico, che rasentava l’arte, sublimato da quell’attenzione ai dettagli con la quale gli odierni fashion designer devono fare quotidianamente i conti, ma con la cui maestria, troppo spesso, non c’è il minimo confronto.

Nostalgico della Belle Époque della Moda dei grandi nomi, Monsieur de Givenchy si sentiva ancora parte di un tempo passato, dove tutto aveva una propria anima, una propria collocazione stilistica, mondo lontano dalle odierne licenze modaiole, dai mix sfacciati e dalle di gran lunga più ampie libertà di correlazione tra location e outfit.

Ma fra la moltitudine dei nomi che ha vestito, è impossibile non associarlo all’esile, aggraziata figura di Audrey Hepburn, per la quale ha creato abiti sia personali che scenici; primo fra tutti i suoi guardaroba celebri, quello di Colazione da Tiffany, il cui mitico tubino lungo, in raso nero, con spacco e guanti abbinati portava fieramente la sua firma, capo principe di quella che diventerà una scena iconica, narrante di incontestabile classe, nell’appropriata cornice di una gioielleria sulla 5th Avenue della Grande Mela.

Tra le sue più celebri citazioni: “È il vestito che deve seguire la forma del corpo di una donna, non il contrario”, frase che insieme ad altre ora melodicamente risuona, ma forse molto più di tante altre si fa metafora della fine di una splendida era che fu.

Paola Rotolo