GRANDE, GROSSO E… VERDINI: IL ‘CONTE MASCETTI 2.0’ INGIURIATO E NOCIVO (MA SEMPRE DECISIVO)

“Dicono: è cambiata la maggioranza. Non è vero. Noi c’eravamo, ci siamo e ci saremo fino all’ultimo giorno della legislatura”. Mancavano solo i corni, le trombe e gli archi del “Guglielmo Tell” di Rossini ad accompagnare la chiosa con la quale, a Palazzo Madama, una settimana fa Denis Verdini ha annunciato il “sì” suo e dei suoi scagnozzi di Ala al “Rosatellum Bis”. Legge che, oltretutto, non è altro che un “Verdinellum” senza olio di palma, considerato che la primigenia del sistema misto proporzionale-maggioritario è proprio del grande tessitore dell’emiciclo della camera alta.

Verdini Denis da Fivizzano: ancora lui. Già puntello del Jobs Act, stampella decisiva delle Unioni Civili, cavicchio cruciale della Buona Scuola, trave portante (chi se non lui) della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, e ora, amarenona sulla torta, treppiedi stabilizzante della maggioranza sul “Rosatellum Bis”, licenziato senza strizze particolari al pallottoliere proprio grazie al mutuo soccorso del toscano dalla chioma nivea. Ceralaccato, “dulcis in fundo”, dal melodrammatico discorso in Aula, che nella narrazione giornalistica del “Mercoledì da leoni” del disco verde (o “verdino”) alla tanto dibattuta legge, ha fagocitato tutto, riducendo tutti gli altri oratori al ruolo di mere comparse.

Sulla legge già vi abbiamo sfibrato le parti care: è un meccanismo zeppo di difetti che, tranne in caso di sbalorditivi travasi di voti da una parte all’altra del campo da giuoco, ci consegnerà un pareggio a reti bianche e di conseguenza un governo a tinte perlopiù, appunto, “lattee”. Il solito mucchio-coacervo al Centro, per capirci, che ci condannerà con ogni probabilità a un’imperterrita orgia di resuscitate faine da gruppo Misto per un lungo e poco avvincente lustro. Il resto va da sé: dove c’è mucchio, c’è Denis che spicca. Col suo saper commediare e il suo fiutare il vento assai prima che la burrasca arrivi.

“Verdini” è oggi quasi una parolaccia in politica. Nell’orripilante dialettica da talk show a cui ormai siamo purtroppo avvezzi, ma che adesso ci rompe un po’ a giudicare dal crollo del nono grado della scala Mercalli degli ascolti, quando si è a corto di argomenti su un dato tema arriva sempre lei: la mesta filastrocca “eh ma voi state con Verdini”. Che è il modo più semplice (e più utilizzato) per buttare la palla in tribuna, o per rovesciare quel tavolo sul quale non si hanno più carte da giocare. Come se chi va con Verdini è uno zoppo costretto ad imparare a zoppicare, destinato giocoforza a prendere una cattiva strada. Nell’immaginario linguistico parlamentare sono dei “poco di buono”, sti verdiniani. E ogni legge, misura o scartoffia approvata col loro ok pare destinata a portarsi appresso la macchia indelebile del sostegno malandrino. Un “impresentabile”, sto Verdini, a detta di tanti. Forse troppi. E anche di chi poi si trova costretto, con l’imbarazzo di colui che arriva alla cassa del negozio e si accorge di essersi dimenticato il portafogli a casa, a chiedergli aiuto.

Come al solito, bisogna fare non uno ma mille distinguo. Il pedigree parlamentare e la carriera politico-finanziar-bancaria di quello che un’illustre penna nostrana ha ribattezzato come il “Mefistofele del potere girevole”, è piuttosto lampante: in pochissimi comprerebbero un’auto usata da Denis Verdini. Il suo Cv è costellato di avvisi di garanzia, rinvii a giudizio e altri copiosi grattacapi giudiziari. Molti terminati con sentenza di assoluzione o proscioglimento (P3, vicenda l’Aquila, G8 Maddalena e piccolo caso di violenza sessuale). Altri con condanna (Credito Cooperativo Fiorentino: 9 anni per truffa e bancarotta). Altri ancora tuttora in essere (l’insieme di tutte le parcelle dei suoi avvocati superano la spesa pubblica del Burundi degli ultimi trent’anni). Da semplice macellaio di Campi Bisenzio, l’escalation di questo toscanaccio verace è stata irresistibile e ha lambito massoneria, salotti buoni della finanza, lobby bancarie. Personaggio pubblico tout court però lo è diventato soltanto quando è stato chiamato da Silvione a fare il grande tessitore della sua metà campo politica. Il buon Denis ha incarnato la componente più opaca e traffichina di vent’anni di berlusconismo. Mai ministro. Mai sottosegretario. Nessuna poltrona, cadrega o sgabello di primo piano. L’ex Cavaliere se l’è sempre tenuto a fianco per affidargli il lavoro sporco nelle vicende più spinose e soprattutto il ruolo di collante indiscusso delle cospicue maggioranze che dovevano sostenere i suoi governi e votare i vari provvedimenti senza troppi mugugni o piagnucolii.  Se Gianni Letta è stato l’eminenza grigia del dominus di Arcore, Verdini è stato quella antracite: il braccio armato. Il “padre Giuseppe” del cardinale Richelieu, insomma: colui che ha sempre avuto il compito di stabilire alchimie, ma pure vicinanze e distanze dal trono del gran capo.

Nel 2013 Verdini ha rappresentato il Bostik che ha tenuto incollato l’allora Popolo della Libertà al centrosinistra tramortito dal gol a porta vuota sbagliato alle politiche. Ponte tibetano tra i due maggiori contraenti a sostegno del governo di larghissime intese a guida Letta “young”, è stato soprattutto grande manovratore sottotraccia insieme al conterraneo Luca Lotti di quella stagione che poi ha visto Berlusconi varcare il gradino del palazzo avverso per siglare il sorprendente patto del Nazareno con Renzi. Quest’ultimo però, al contrario di tanti cani abbaianti nel centrosinistra, nel gennaio 2015 poi ha sferrato un morso a mandibola piena imponendo al Parlamento il non gradito (a destra) Mattarella per il Colle. Risultato: intesa Cav-Pd in frantumi, e Verdini che si è ritrovato con la gondola nel bel mezzo del canale durante la mareggiata. Clamorosamente ma senza patemi d’animo, ha attraccato sulla sponda opposta, e con la fondazione di Ala ha imbastito una sorta di esercito di barellieri pronti a soccorrere al Senato la maggioranza nei passaggi numerici più tormentati.

Il resto è storia di oggi. Ho più volte strappato battute lì, di fronte alla meravigliosa chiesa di San Luigi Francesi che fa da sentinella al Senato, al senatore Verdini. L’ho sempre trovato come una sorta di remake del monicelliano conte Mascetti traslato nel terzo millennio: scaltro, disponibile, sdrammatizzatore seriale e sempre pronto a farla sotto il naso anche a chi lo intervista. E quando si aggira coi suoi pittoreschi “sgherri” Lucio Barani, Vincenzo D’Anna, Pietro Iurlaro e Ciro Falanga, pare di rivedere il gruppo dei “bischeracci” di “Amici Miei” al gran completo. Violentando in maniera irreversibile la lingua che fu di Shakespeare e di Milton, giusto martedì il capogruppo dei senatori di Ala Barani ha detto che non solo lo Ius Soli, ma persino la “steccialdadopscione” (step child adoption, ndr) sono pronti a far passare insieme ai colleghi del Pd, che sembrano sempre più pinocchietti trascinati nel paese dei balocchi dai lucignoli verdiniani.

Ora, di questa gente si può dire tutto e il contrario di tutto. E’ chiaro: se uno come Denis Verdini fa il bello e il cattivo tempo, e se specie in un ramo del Parlamento è il crocevia di ogni lavoro legislativo che va a dama, il sistema politico ha evidentemente fallito. Detto ciò, attenzione a criminalizzarlo troppo: negli anni delle dirette streaming, delle permiershipparie sui blog, dei treni elettorali e delle gare di rutti quotidiane che si vedono sui social, questo signore fa politica. Pura e semplice. Laddove va fatta (in Parlamento) e senza incoerenze, visto che Ala continua a votare ciò che crede senza avere nemmeno un sottosegretariato alla botanica o un viceministro alla toponomastica. Sono un po’ lestofanti, e di certo non sono santi. Ma vogliamo scommettere che anche nel futuro prossimo li rivedremo colonnelli e non fanti? L’ex beccaio Denis, con tutte le sue smargiassate, il suo linguaggio pane e lampredotto, il suo essere davvero una figura che rimanda al canovaccio, colpirà ancora. Mentre tutti gli altri si scanneranno sui palchi elettorali, lui agirà con astuzia e perversione. Sostenendo tutti e nessuno. Preparatevi dunque, dal Tognazzi della politica, a un’altra puntuale supercazzola. Come se fosse antani. Se con scappellamento a destra o a sinistra, lo vedremo.

Valerio Mingarelli