TERREMOTO NEL CENTRO ITALIA, PARLA IL GEOLOGO ALESSANDRO AMATO
di Paola Rotolo
Dopo le scosse degli ultimi giorni nel centro Italia, Radio Gold torna sull’argomento sisma con uno dei massimi esperti a livello nazionale, il geologo dell’Ingv, Alessandro Amato.
La sequenza che avete definito di Amatrice-Norcia-Visso, trend che il mese scorso lei sottolineava essere in netto calo, può considerarsi finita?
“La sequenza è ancora in corso, continuiamo a registrare decine di scosse ogni giorno, seppure quasi tutte a livello strumentale. D’altronde la sequenza aquilana è durata quasi 3 anni, non possiamo aspettarci nulla di molto diverso per questa. Si potrà parlare di fine nel momento in cui si tornerà a una situazione, sismologicamente parlando, tranquilla come quella che c’era prima del 24 agosto 2016.”.
(Per L’Aquila vedi: https://ingvterremoti.wordpress.com/2014/11/09/linizio-e-la-fine-della-sequenza-sismica-dellaquila/ )
Siamo quindi al momento di tirare le somme e capire se ed eventualmente quali faglie ha attivato lo sciame iniziato nell’Agosto 2016. Ne ha caricate alcune in particolare?
“Di certo il reticolo di faglie dell’Appennino umbro-marchigiano è un sistema complesso, i cui tasselli sono collegati tra loro e quindi non possono fare a meno di influenzarsi vicendevolmente. Purtroppo non conosciamo molto delle caratteristiche di queste faglie in profondità, pertanto è molto difficile prevedere degli scenari sui futuri terremoti.”.
In questi giorni nuove scosse a Caldarola (MC), prima di 3.3, poi di 3.5. Una zona diversa, un’altra faglia. Quanto è grande? Cosa dobbiamo aspettarci in termini di entità della scossa massima raggiungibile e della durata dello sciame sismico?
“Sì, basta osservare una mappa senza essere un geologo per notare che si tratta di una zona diversa e quindi intuire che questi eventi interessino faglie differenti rispetto a quelle attive da agosto 2016. Ma questo non indica nulla di più, essendoci continuamente terremoti di questa entità in tutta Italia e in quest’area in particolare: dal 1 Gennaio 2010 fino al 23 Agosto 2016, presa Norcia come centro e considerando un raggio di 100 km, troviamo 37 terremoti di magnitudo pari o superiore a 3.5, seguiti poi da decine e decine di rituali aftershocks; una media di 6/7 terremoti l’anno di questa magnitudo, e solo in quel raggio territoriale. Capiamo perciò che questi eventi, geologicamente parlando, rientrano nella normalità dell’attività sismica dell’entroterra appenninico, solo che ora siamo tutti più sensibilizzati sul tema e quindi qualsiasi fenomeno che prima avremmo trascurato completamente ora ci fa stare col fiato sospeso. Lo comprendo, ma non dovrebbe, non ce n’è motivo. Piuttosto, utilizziamoli come un promemoria del rischio sismico, e diamoci da fare, per verificare la nostra casa, se abbiamo dei dubbi sulla sua tenuta. Mettiamo in programma che nei prossimi 5 o 10 anni investiremo per aumentare la nostra sicurezza. Ora con il Sismabonus potremo recuperare fino all’85% della spesa sostenuta.”.
I concetti di vulnerabilità sismica e rischio sismico, abbiamo compreso che sono diversi, ma strettamente collegati l’uno all’altro.
“Il rischio sismico è un prodotto di 3 fattori: l’esposizione, ovvero il numero di persone, edifici, opere architettonico-artistiche e quant’altro; la pericolosità sismica, caratteristica intrinseca propria di ogni zona; ed infine la vulnerabilità. È interessante capire come, esattamente per qualsiasi altro prodotto, se uno dei fattori diventa zero il prodotto stesso diviene nullo, che nel nostro caso è l’obiettivo primario da perseguire (in realtà il rischio zero non esiste, ma possiamo ridurlo in maniera significativa). Considerando quindi però che né l’esposizione né la pericolosità sismica si possono abbassare considerevolmente, il fattore che bisognerebbe portare prossimo allo zero è la vulnerabilità sismica, in parole povere intervenire su tutte le strutture presenti per portarle ad una condizione di antisismicità tale da non temere l’arrivo di scosse di qualsiasi entità. Ecco che il rischio sismico sarebbe, se non proprio nullo, molto basso e ci limiteremmo a fare i conti con lo spavento e qualche crepa nei muri, ma non con morti e paesi interamente distrutti.”.
Secondo la mappa INGV della pericolosità sismica in Italia, quali sarebbero le zone dove intervenire preventivamente per abbassare la vulnerabilità degli edifici?
“In tutte le zone rosse non lesinerei le attenzioni, anche se in alcune spero si sia già provveduto ed il rischio si sia effettivamente abbassato. Anche in quelle dove è in corso la sequenza dal 2016, ci sta cercando di valutare se alcune aree in cui si è osservato un deficit nel rilascio sismico (per esempio l’area intorno al confine tra Lazio e Abruzzo) sia in grado di generare altri eventi importanti. Poi ci sono le aree intorno, come quelle di Sulmona, la Marsica e le zone dell’Umbria-Marche a nord. Nel sud Italia, poi, c’è purtroppo l’imbarazzo della scelta.
Di questi tempi essere un geologo INGV di fama non deve essere semplice. Mediamente quanti messaggi riceve al giorno?
“Durante le fasi calde della sequenza erano davvero tanti. In parte scrivono all’Istituto, tra richieste di chiarimenti di ogni genere, domande sul futuro imminente e proteste di persone che lamentano il cambiamento dei dati, come se avessimo qualcosa da nascondere. Poi c’è l’aspetto social, che mi investe quotidianamente con moltissimi messaggi sia pubblici che privati, a cui è spesso difficile rispondere, ma fa parte del mio lavoro e finché le persone mi considereranno un punto di riferimento attendibile varrà la pena sforzarsi di rispondere!”.