IL SISMA E LA ‘CASETTA’ DI RABBIA E NEBBIA: ERRANI UMANUM EST. PERSEVERARE AUTEM… ‘DIABOLICUM’

Nei giorni in cui si magnificano (giustamente, dopo l’epocale sabato del Modena Park) l’ardore artistico e l’infaticabilità cantautoriale di Vasco, quasi per allitterazione torna alla ribalta un altro Vasco. Che va detto, con il rocker in comune ha solo la regione di provenienza: niente “vado al massimo”, zero “bollicine” e “vita spericolata” men che meno. Si tratta di Vasco Errani, uomo che di mestiere toglie castagne dal fuoco (con alterne fortune, ma questo sul lavoro accade a tutti). E’ una sorta di mister Wolf di “Pulp Fiction”, Errani: risolve problemi. E gli va riconosciuto di averne risolti a camionate, nei 15 anni da nocchiero della regione Emilia Romagna (e soprattutto, nei 9 da numero uno della conferenza Stato-Regioni). Tirato su a dogmi togliattiani e sangiovese, più bersaniano dello stesso Bersani, Errani è sempre stato la mente della congrega “rossa” attiva sulla via Emilia. Uno “zio” rassicurante, di quelli che parlano poco ma che al telefono puoi trovare sempre, anche alle cinque del pomeriggio quando al bar scattano briscola e Biancosarti. Graziano Delrio, l’unico suo pupillo di culla non “rossa”, lo chiama tuttora un giorno sì e l’altro pure, anche adesso che Vasco (che pure da olimpionico della mediazione ce l’ha messa tutta per evitare la scissione) si è tolto la casacca del Pd per indossare quella di Articolo Uno.

Come è noto, il nostro Vasco è il gran visir della ricostruzione post-sisma nel centro Italia. Da mesi tiene un profilo non basso, ma sotto il livello del mare: del resto lo scorso autunno ogni volta che ha dato fiato alla laringe si è dovuto addossare colpe non sue. Perché nella fase emergenziale (che ancora non si è capito se sia finita o meno) era previsto che lui e la sua struttura non dovessero toccare palla (e euro, soprattutto), e così, in primavera ha optato per copiosi silenzi tombali. Due settimane fa, mentre nelle terre sventrate dal terremoto iniziavano a cantare i primi big della musica italiana nella kermesse RisorgiMarche (92 minuti di applausi a Marcoré per la mirabile idea, altri 92 per “Terre in moto” e le altre realtà che a fare i spenti nel loro piccolo portano avanti iniziative altrettanto straordinarie), è tornato a cantare pure Vasco. Non Rossi appunto, ma l’errante Errani. Il quale però, stavolta, ha errato.

Ritiriamo in ballo Quentin Tarantino. E come lui, iniziamo dalla fine. L’Unione Europea, quell’istituzione di cattivoni presa a mal parole (sul dramma dei migranti legittimamente) da tre quarti dei bipedi che albergano nello Stivale con frequenza maggiore del passaggio della metro B a Roma, ha stanziato pochi giorni fa 1,2 miliardi di euro “cash” per la ricostruzione nelle aree appenniniche terremotate. E’ grana che arriva dal “fondo di solidarietà” (quindi utilizzabile subito): si tratta dello stanziamento più ingente mai “sganciato” per una calamità naturale dai paludatissimi signori che se la comandano in quel di Bruxelles. Ecco, udito finalmente il fischio musicale dei venti di letizia dalla città dei cavolini, il desaparecido Vasco è riapparso. Puf: risorto come Tabita. Dopo mesi catacombali, il “commissario” da Massalombarda si è dato in pasto al Corrierone annunciando finalmente un’Epifania edilizia per le boccheggianti genti appenniniche.

“Ora ci sono soldi e norme, inizia una fase nuova” – è stato il perentorio proclama lasciato in dote al quotidiano di via Solferino. “Recupereremo il tempo perduto e inizieremo la riscossa dalle scuole: non sono mago Merlino, ma ho tanta fiducia”. Bene. Anzi, benissimo: una volta tanto che arriva una lieta novella, giusto essere festanti anche nell’eloquio. Peccato però che al piacevole refolo di vento arrivato dal Belgio abbiano fatto da apripista, sempre nella stessa settimana, gelide e taglienti folate di tramontana giornalistica (e istituzionale). Altro che epifanie, reviviscenze e nuovi fasti: la situazione nei comuni del cratere è quanto di più vicino al raccapriccio. A fotografarla ci sono numeri inclementi, snocciolati con minuziosità quasi sadica proprio da due reportage di Corriere e Repubblica, non certo realtà note come mattinali anti-governativi e sovversivi.

Proviamo a sintetizzarne solo alcuni (per carità di patria), evitando di infliggerci meno tormenti corporali e mentali possibili. Dopo dieci mesi sono state rimosse soltanto l’8% delle macerie sparpagliate nelle quattro regioni vittime della terra ballerina: circa 177 mila tonnellate delle 2,4 milioni che il sisma ha lasciato sul selciato. Solo nelle Marche ce ne sono un milione: la rimozione, con atarassia quasi “Zen”, ha avuto inizio da noi soltanto ad aprile e al momento si veleggia a 1200 tonnellate tolte di mezzo al giorno. Non è chiaro se stiano rimuovendo un sassetto alla volta con guantini in feltro, né se per i lavori siano in campo solo tre ruspette Peg Perego estratte a loro volta da qualche asilo nido inagibile del camerte, resta il fatto che tenendo questi ritmi per accomiatarsi dagli ultimi calcinacci bisognerà attendere il Natale del 2019 (due anni e mezzo). Insomma, le più canoniche calende greche. Rimanendo sul filone “tempi biblici”, il sindaco di Visso Pazzaglini ha contato undici passaggi solo per issare un normale prefabbricato sul suolo comunale. Perché se le tonnellate di rovine edilizie sono 2,4 milioni, quelle di scartoffie legate a questa tragedia sono almeno il doppio: ben vengano legalità e cose fatte a cristiano, ma si era detto per una volta di prendere le tronchesi per spezzare lo sciagurato fil di ferro della burocrazia e invece, decreto dopo decreto, siamo finiti imbrigliati peggio di prima, stando anche al lambiccare costante dei primi cittadini. Prendendo in prestito il dogma di Laurent de Levoisier, se è vero che in fondo nulla si crea e nulla si distrugge davvero, in Italia tutto si trasforma in faldone o in modulo da compilare. Ci manca solo di vedere un plico che autorizzi la Sibilla a cercar riparo nelle grotte dei monti che a lei debbono il nome, e allora sì che potremo dire di essere arrivati all’ammazzacaffè.

Tra i tanti inciampi quotidiani visti dal malvagio agosto 2016, ce n’è uno che più di ogni altro si fa fatica a mandar giù, ed è quello insopportabile che riguarda le soluzioni abitative d’emergenza, al secolo le “casette”. Allo stato attuale solo 188 famiglie sfollate vivono in uno di questi moduli abitativi. Facendo un computo generale, delle 3626 Sae richieste ne sono state consegnate malapena 200. Una vergogna sesquipedale: in un paese civile per una cosa simile avremmo visto teste saltare ad ogni livello (nazionale e locale) come nei templi Maya dopo i sacrifici umani. Invece da noi, mesta repubblica del “purtroppo”, si gioca a Badminton scaraventando sempre il volano nell’altra metà campo (governo su regioni, regioni su comuni, comuni su tecnici o, appunto, commissari). L’unica casetta rimasta in piedi è quella di rabbia e nebbia, facendo un calembour col noto film, dove dentro troviamo migliaia di famiglie che continuano a pernottare in iperbariche camere di pensioncine costiere o, nei casi peggiori, in roulotte o camper, senza sapere quando, dove e come potranno avere ste santissime Sae. Ormai nessuno (neppure il premier Gentiloni) difende più quello che a tutti gli effetti è indifendibile: a rovistare in mezzo al melmoso pantano delle gare d’appalto pasticciate è stato lasciato San Raffaele Cantone da Napoli, l’uomo per tutte le stagioni che da un triennio viene usato un po’ come il Moment Doll per lenire i tanti acciacchi delle nostre malandate istituzioni.

Ecco, di tutte queste cose (come abbiamo già accennato sopra) Vasco Errani non ha una stilla di responsabilità: il suo è un ruolo “successivo”. A maggior ragione però ciò dovrebbe riportarlo all’ovile della prudenza: si può annunciare una “fase nuova” con uno scenario così a carissimo amico? Ovvio che no. Si può parlare di ricostruzione con le macerie che ancora fanno da corredo alle vette appenniniche? Per carità. Errani sarà di sicuro un “coach” prolifico quando ci saranno da ritirare su case, chiese e scuole: ne siamo certi. Però aspetti a dire gatto prima di averlo del sacco: di bugie, nel centro Italia, i cittadini del cratere non ne possono ascoltare più. E di fronte ad altre promesse potrebbero persino rispolverare Jovanotti e cantare “No Vasco, no Vasco. Io non ci casco”. Uomo avvisato, mezzo salvato.

Valerio Mingarelli