RINASCERE DAL DOLORE, L’OPERA AL MUSEO DIOCESANO DI FABRIANO
In occasione del ventennale dell’Associazione Musei Ecclesiali Italiani un tour con un’opera contemporanea: Rinascere dal dolore, dell’artista Claudio Parmiggiani. Unica tappa del centro Italia, dopo Cortona, è Fabriano, presso il Museo Diocesano. La struttura sita in Piazza San Giovanni Paolo II ospiterà, fino al 9 luglio, questa preziosa creazione (foto) che concluderà il giro d’Italia (iniziato a marzo a Milano) a settembre presso la Casa Museo Puglisi di Palermo. “Siamo molto orgogliosi di poter accogliere nel nostro museo quest’opera – ha detto monsignor Alfredo Zuccatosta, parroco della cattedrale e direttore – per la bellezza e l’importanza del messaggio e perchè siamo stati scelti tra tanti musei d’Italia. E’ la dimostrazione dell’importanza di questo museo che racconta la storia della nostra Diocesi di Fabriano-Matelica che dall’inaugurazione del settembre 2015 a oggi, ha contato più di 5 mila visitatori”. Sono 15 i volontari impegnati tutto l’anno per permettere l’apertura del Museo nei week end e su prenotazione nei giorni feriali telefonando al 349-9404964. Da memorizzare l’orario: sabato e domenica dalle ore 10 alle 12 e dalle 17 alle 19.
“Fino al 9 luglio – ha concluso mons. Zuccatosta – sarà possibile ammirare l’opera che ci permette di esaltare don Pino Puglisi, un prete che ha lottato contro la mafia il cui messaggio è sempre attuale. Visitate il Museo Diocesano di Fabriano: è un’occasione da non perdere per conoscere un tassello importante di storia locale insieme alle chiese gioiello del centro. Causa terremoto alcune sono ancora chiuse. Le chiese San Biagio, San Venanzio, Madonna del Buon Gesù, San Filippo, però, sono aperte sia per i fedeli che per i turisti”. “Non è un museo antico ma l’anima giovane della città che, nel corso dei secoli, ha sempre valorizzato l’uomo e il suo incontro con Dio.” Così il vescovo Giancarlo Vecerrica nel presentare, l’8 settembre 2015, il Museo Diocesano nella ricorrenza storica della Madonna del Buon Gesù. Sei sale al piano terra del Palazzo Vescovile per raccontare la storia della chiesa locale, dalla sua nascita all’elevazione a Diocesi nel 1785. La prima sala è dedicata alle origini della chiesa nel territorio fabrianese con sculture dell’anno 1000, pergamene e una croce astile, raro esempio di oreficeria medievale. Spazio, poi, alla Scuola Fabrianese del Trecento e del Quattrocento con due tavole di Allegretto Nuzi. Dalle sagrestie e dai ripostigli delle chiese, inoltre, sono stati recuperati tesori sacri di gran valore come calici e paramenti. Ottanta le opere esposte.
Rinascere dal dolore
Tutto il lavoro dell’artista Claudio Parmiggiani è altamente poetico, evocativo. Non appare mai affermare o dimostrare qualcosa, ma induce a una riflessione, a una meditazione sul senso più profondo delle cose, del loro permanere nel tempo grazie alla memoria. Assemblando alcuni frammenti del mondo, desituati dal loro contesto originario e accostati in modo del tutto inconsueto, crea immagini di una straordinaria forza espressiva. Da oggetti come campane, barche, statue, libri, àncore, emerge una bellezza sospesa, familiare e al tempo stesso insolita, ambasciatrice di un mondo lontano che chiede di emergere dall’oblio della storia, per farsi attuale, vicino, amico. Contro le tendenze di tanta arte contemporanea, destinata a un rapido consumo o a un superficiale atteggiamento ludico, le opere di Parmiggiani sembrano attraversare la pelle del mondo, per dischiuderci gli abissidi un mistero. L’opera richiesta all’artista da Amei, per poi essere donata alla Casa Museo Puglisi di Palermo, parla del tempo presente, e contemporaneamente appartiene alla storia di sempre. Consiste in diverse lastre di vetro sovrapposte, sulle quali poi l’artista interviene con violenza, creando in questo modo un’apertura sfrangiata e irregolare, come una lacerazione. Una superficie che si presenta come uno specchio riflettente, sul quale è avvenuta una violenta aggressione. Non è la prima volta che Parmiggiani interviene con un gesto distruttivo. Già nei celebri labirinti di cristalli infranti (1970), lo spettatore, per uscire all’esterno, era costretto a ridurre in frantumi il percorso di vetro di una città esplosa, come in una sorta di apocalittica tempesta che demolisce ogni cosa. In questo caso, la superficie è aggredita, senza essere tuttavia del tutto frantumata. Su di una lastra nera, di una profondità abissale, che riluce grazie al vetro specchiante, una serie di crepe si dirama dal centro verso l’esterno, venendo a creare una rete, una ragnatela che si propaga ovunque. Un gesto violento squarcia il cuore di una lastra che appare in questo modo ferita, violata, stuprata nella sua integrità e nella sua luminosa bellezza. L’opera si presenta dunque come uno specchio che ha perduto la sua funzione di accogliere e d’irradiare in modo uniforme le molteplici forme del mondo, rivelando una tragedia avvenuta. Tuttavia, questa drammatica apertura appare suggerirci qualcos’altro. La nostra attenzione si concentra su quel foro dai margini ruvidi, scomposti e irregolari che si pongono come limite, soglia verso uno spazio che non è possibile definire. E’ come se fossimo invitati a proseguire verso un al di là, un oltre. Attraverso la tragicità di un gesto, siamo chiamati a intraprendere un cammino, un viaggio, a compiere un percorso. Certo è immediata l’analogia tra l’opera dell’artista e la vita di don Giuseppe Puglisi, sacerdote siciliano, ucciso dalla mafia nel 1993, con due colpi di pistola alla nuca. La sua esistenza “luminosa”, “irradiante”, spesa contro i soprusi e gli oltraggi della mafia, fu stroncata dalla brutalità di una violenza infame, indicibile. Tuttavia, se l’opera parla di una violenza subita, è per ricordarci che per vivere fino in fondo il senso più profondo dell’esistenza, occorre che qualcosa sia frantumato, spezzato, lacerato. La trasformazione di una società avviene grazie alla testimonianza di un martire, al sangue di una vittima. È come se una ferita mortale potesse aprire una porta, per condurci verso un oltre, dove si gioca la verità di noi stessi, perché ciascuno di noi assuma la propria responsabilità etica nella storia. Di certo, Padre Puglisi ha percorso questa strada dall’inizio alla fine, in tutto il suo percorso, in tutto il suo dramma. Per aprirci a una speranza, per farci rinascere dal dolore a un mondo diverso, di riconciliazione e di pace.
Marco Antonini