MACRON, L’ADATTATORE UNIVERSALE PER PRESE (DI POSIZIONE) CHE UNI’ L’ITALIA PIU’ DI CAVOUR

Impossible n’est pas français. Suonano a morto su ogni campanile transalpino le meste campane della quinta repubblica: il primo round delle elezioni d’Oltralpe ha tumulato con tanto di incenso e crisantemina la storica tenzone (che dagli anni ’50 in Francia dominava incontrastata) tra socialisti e gollisti. Dei primi è stata fatta carne di porco, con l’imbarazzante 6% di Benoit Hamon. I secondi, invece, sono rimasti fuori dall’ uno contro uno finale a causa della violenta badilata alle parti basse rifilata loro da Penelope Fillon, sposa dell’ex premier di Sarkò François, le cui marachelle scandalistiche hanno gambizzato il marito nella corsa all’Eliseo. Moglie ubriaca e niente botte piena dunque per il portacolori gollista: al secondo e decisivo step c’è l’ulcerosa Marine Le Pen, figlia ribelle del fumantino Jean Marie. Quella della “Francia ai francesi”, “abbasso Islam”, “Euro merda”, “chi non salta bruxellese è” e altre menate. Già sentite peraltro, a più latitudini.

Un candelotto di tritolo pronto a deflagrare, la bionda della Bassa Francia. Che un po’ di paura la mette, specie dopo aver visto in quale carnevale quadriennale si sono avventurati gli americani spedendo il tycoon col gatto deceduto in testa alla Casa Bianca. Così gli eredi di Robespierre, Napoleone e Balzac hanno biascicato molto spezzatino di volpe, creando in pochi mesi in provetta il candidato “bianco”. Perfetto per diluire colori e toni della sultana del Front National, decisamente troppo accesi. Emmanuel Macron, il ministrino scolaretto 39enne di Hollande che non si è mai candidato a nulla, nemmeno a direttore della “fanzine” mensile delle sue scuole medie, ora rischia seriamente di piazzare trolley e grucce al 55 di rue du Faubourg-Saint-Honoré. Non sappiamo se al di là del Frejus avrà luogo il ribaltone stile Usa (probabilmente no). In Italia però Macron ha già stravinto col 93% dei consensi e sestuplo premio di maggioranza: un gradimento manco Cavour nel marzo del 1861 a Regno d’Italia appena fatto. Tanto che, a saperlo prima, Mattarella gli avrebbe affidato il governo lo scorso dicembre da qui al 2044.

Perché Macron piace a tutti. Ed è come un pantalone di lino beige: si abbina con tutto. E’ come un alimentatore universale: ricarica tutto, dal pc alla sigaretta elettronica. E’ liberista con sfumature socialiste. E’ progressista con venature conservatrici. E’ abortista solo nei giorni dispari e per l’utero in affitto solo in quelli pari. All’Isis gliele vuol suonare di santa ragione, ma un pasto caldo a casa sua non si nega a nessuno. E’ europeista convinto, ma se giri la levetta che ha dietro la schiena tuona contro Bruxelles al grido di “Non è questo lo spirito del manifesto di Ventotene” (pur ignorando dove cazzo possa trovarsi Ventotene). Sta coi banchieri (vorrei vedere, è un figlioletto di Rotschild), ma anche coi risparmiatori. Se la intende con gli imprenditori, ma anche coi sindacalisti. Sostiene gli ambientalisti, ma anche i petrolieri. Va matto per il foie gras, ma se premi il pulsante sottocutaneo all’altezza dell’esofago diventa vegano. Tifa per il Paris Saint Germain, ma come Pippo Franco nel film “Il tifoso, l’arbitro e il calciatore”, volendo gira la sciarpa e diventa ultrà dell’Olympique Marsiglia. Pasteggia a champagne Perrier-Jouët Belle Epoque, ma all’occorrenza può sborniarsi con rossi della Gironda presi direttamente dal contadino. Possiede l’Iphone 7, ma per par condicio commerciale anche un Samsung S8. A casa ha una Renault Clio, ma per patriottismo automobilistico anche una Peugeot 308 e una Citroen C4 Picasso. Con gli avversari politici sa usare il bastone quando serve oppure la carota, alternandoli con la sola forza del pensiero. E se deve spostarsi per Parigi, chiama un taxi per lui e al suo portavoce prenota Uber, in modo da non fare torto a nessuno.

E’ proprio un pac man del consenso, il buon Emmanuel da Amiens. E il suo movimento “En Marche!” è un’accolita di superfighi, altro che gli sguaiati italici 5 Stelle. E se Fillon può gridare a squarciagola “chi ha moglie, ha doglie”, lui no. Infatti la sua vita privata è un fumettone rosa con picchi da romanzo di Sophie Kinsella: dieci anni fa ha infatti sposato Brigitte, sua professoressa al liceo, che conta 24 primavere sulla carta d’identità più delle sue. Una roba per cui in Italia “La Vita in Diretta” ci tirerebbe a campare per una quarantina di puntate, e che ha fatto cadere in brodo di giuggiole quattro quinti del gentil sesso europeo, passando per l’esterrefatta perenne D’Urso e per la neo-politologa Alba Parietti, arrivata in età avanzata a recensire riforme costituzionali e decreti Milleproroghe a go go dopo una vita passata a commentare temi più eruditi quali “convivere con la suocera si può?” e “meglio gli esotismi o moglie e buoi dei paesi tuoi?”. Insomma, la love story con Brigittissima dà al buon Emmanuel pure lo scettro di “uomo dell’anno”, più femminista anche delle pasionarie di “Se non ora quando”. E sta cosa gli attira pure svariate malelingue che lo vorrebbero (e di conseguenza lo scaraventano) sull’altra sponda. Poco importa: gli italiani, popolo sempre avvezzo alle cose serie, hanno detto che basta la sua fede nuziale a erigerlo a statista fatto e finito.

E anche nella politica nostrana i violini suonano estasiati in loop da domenica sera. Come fu per Blair vent’anni fa, e per Obama dieci anni fa, ora Macron il modello da seguire. La panacea per scansare tutti i malanni da populismo. Dalla parte della Le Pen sul fronte italico ci sono rimaste solo le due rane gracchianti Salvini e Meloni: questo non essere né di destra né di sinistra crea diversi occhi dolci anche tra i 5 Stelle nei suoi confronti. Nelle altre forze politiche siamo però all’amplesso puro. Per Renzi Macron è il nuovo talismano d’Europa, il cugino a cui ritwittare tutti i tweet e con cui scambiarsi le slides a Natale. Letta, che a Renzi lo rinchiuderebbe in una gabbia con tre puma a digiuno da sei giorni, su Macron concorda col golden boy gigliato, perché del leader di “En Marche!” è persino sedicente “grande amico”. Mario Monti invece è corso ad un poliambulatorio del varesotto pochi giorni fa per chiedere il test del Dna: in base al curriculum vitae fatto di tomi di finanza e uffici climatizzati bancari, il prode Emmanuel non può che essere suo figlio. Più cauto Berlusconi, al quale il virgulto piace pur avendo una passione per donne troppo in là con gli anni rispetto agli standard di Arcore. Emmanuel però è riuscito in un mezzo miracolo: quello di stregare la sinistra italiana e a fargli persino riabilitare la figura di De Gaulle. Speranza e Bersani, che ricordano sempre più Verdone e Sordi di “In viaggio con papà”, in Italia hanno mollato il Pd perché “troppo al centro” ma a casa hanno attaccato il poster di Macron tra quello di Berlinguer e quello di Bordiga. Persino Vendola ha occhi a cuoricino, mentre Veltroni è così estasiato che ha già pronto un colossal sulla vita dell’enfant prodige dell’Alta Francia.

Insomma, tutti nel nirvana con Emmanuel. Poi però, nella sala stampa della Camera, fai notare a tutti indistintamente che nel suo primo discorso post-urne Macron ha parlato per venti minuti senza dire un tubo. Una nenia cantilenante, di quelle che a confronto Giovanardi è John Fitzgerald Kennedy. “Ma che vuoi che sia” – la risposta media – “Emmanuel è il futuro, siete voi che non capite. Siete superati, entrate nel nuovo millennio per cortesia”. Eggià: pas de nouvelles, bonnes nouvelles. Anche se i francesismi che vengono in mente sono altri.

Valerio Mingarelli

 

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