EVVIVA IL LUPO – IL PUNTO DI FABRIZIO MOSCE’

di Paola Rotolo

Negli ultimi 50 anni il progressivo abbandono delle montagne in favore della vita in città ha portato al ripopolamento faunistico di queste zone ed il lupo appenninico è una delle meravigliose specie che ha sfruttato la situazione. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Moscè, membro del Comitato Alla scoperta del Giano e del gruppo Fabriano dal basso, entrambi comitati spontanei che hanno preso vita sulla scia del nobile obiettivo della riqualificazione del territorio. “Esiste una regola non scritta che viene sempre rispettata da chi si avvicina al lupo per studio, ricerca o semplicemente per passione, come nel mio caso: è quella di non rivelare mai il luogo preciso dove viene avvistato, fotografato o ripreso, e questo perché purtroppo ha ancora molti, troppi nemici umani che lo odiano. Posso dire, quindi, molto genericamente, che i lupi (foto) che sono riuscito ad immortalare si aggiravano sulle nostre splendide montagne.”

“Il nome scientifico del lupo appenninico è Canis lupus italicus ed è considerato una sottospecie del lupo europeo, rispetto al quale è più piccolo ed ha colori del manto molto più caldi, caratteristica probabilmente attribuibile al mimetismo animale – spiega Moscè. – Non esistono dati certi sulla popolazione italiana, ma si pensa che attualmente il numero di questi animali oscilli fra i 1500 ed i 2000 esemplari, anche se si tratta solo di una stima empirica. Sulle nostre montagne dell’appennino umbro-marchigiano, il lupo è tornato dopo un lungo periodo di assenza, visto che negli anni ‘50/‘60 fu sterminato perché ritenuto un animale nocivo. Purtroppo girano anche parecchie leggende metropolitane sul suo conto, che parlano di lupi lanciati con il paracadute dagli elicotteri, di altri liberati meno platealmente da non ben identificati ambientalisti, o di altri ancora rilasciati da fantomatici programmi di ripopolamento. Niente di più falso! Semplicemente complici l’abbandono delle montagne da parte dell’uomo e la presenza di numerose prede selvatiche, il lupo ha spontaneamente ricolonizzato i territori che gli appartenevano, a partire da quelle poche zone d’Italia dove l’uomo, fortunatamente, non ne ha causato l’estinzione”.

Afferma Moscè: “Il lupo appenninico generalmente vive in piccoli branchi che occupano un areale grandissimo, in media dai 100 ai 300 Km quadrati, prediligendo le zone montuose, remote, ricche di boschi e di prede, ma nel suo eterno peregrinare può attraversare anche aree collinari o pianeggianti, tenendosi però sempre a debita distanza da città e centri abitati. Negli anni ‘60 gli esemplari di lupo appenninico erano ridotti al minimo, parliamo all’incirca di 200 esemplari e se pensiamo che l’elefante africano che può contare circa 470mila esemplari è considerato in pericolo estinzione, possiamo capire immediatamente la delicatezza della situazione per questa specie. D’altronde se non fosse per il Parco Nazionale della Majella e quello d’Abruzzo avremmo perso molte specie”.

Così come non esiste un censimento preciso della popolazione su scala nazionale, anche a livello locale non abbiamo dati certi: “Francamente i numeri che leggo sui media mi sembrano di molto sovrastimati: il lupo è un animale difficilmente individuabile, si sposta continuamente su un territorio grandissimo e prevalentemente di notte. Vederlo è quasi impossibile, la sua presenza generalmente è rilevabile indirettamente grazie a delle tracce che lascia sul terreno o tramite dispositivi di nuova generazione come le fototrappole. Secondo il mio modesto parere nella vasta zona dell’Alta Vallesina, corrispondente ai bacini idrografici dei corsi d’acqua Esino, Giano e Sentino, gli esemplari di lupo si contano sulle dita di una mano, anche in ragione dell’elevata mortalità per cause umane; probabilmente sono sempre quei pochi esemplari che essendo molto mobili sul territorio vengono rilevati in zone diverse”, ipotizza Moscè, per poi toccare la corda del bracconaggio.

“Pur essendo un animale protetto, in Italia ogni anno vengono uccisi dall’uomo circa 250 lupi appenninici; alcuni finiscono investiti dalle auto ma nella maggior parte dei casi sono abbattuti dai bracconieri con armi da fuoco, lacci, tagliole o bocconi avvelenati. Anche noi non siamo esenti da queste barbarie, recente è la notizia di una lupa a Gagliole rimasta vittima di un laccio metallico e poi finita a colpi di arma da fuoco. In quel di Genga alcuni bocconi avvelenati sono stati divorati da un cane, ma è molto probabile fossero destinati a lupi e volpi. Fortunatamente, almeno, sembra ormai accantonata la proposta di deroga alla protezione che ne avrebbe consentito l’abbattimento legale di un certa percentuale. Pura follia, considerato che, come ho già detto, non ne conosciamo nemmeno il numero totale!” Senza contare che la funzione di questa specie in natura è tutt’altro che dannosa: “Il lupo è un predatore, ed in questa parte d’appennino le sue prede preferite sono il capriolo e il cinghiale, ma se non trova di meglio si accontenta di piccoli roditori e bacche. E’ al vertice della catena alimentare, quindi la sua presenza è importantissima per un buon equilibrio dell’ambiente. Le conseguenze di un ecosistema compromesso, ovvero con squilibrio prede-predatori, le conosciamo bene anche a Fabriano; mi riferisco ad esempio alla prolificazione fuori controllo dei cinghiali, con tutti i problemi conseguenti sia per l’agricoltura pedemontana che per la sicurezza umana. Teniamo bene a mente che il lupo non attacca assolutamente l’uomo, anzi lo teme sopra ogni cosa; a conferma di questo l’assoluta mancanza di dati certi e documentati di aggressioni, da secoli. Detto questo, nessuno nega che qualche pecora o capra possa essere stata predata, specie in condizioni di scarsa sorveglianza e protezione, ma bisogna anche pensare che spesso questi attacchi potrebbero essere condotti da cani randagi, resi estremamente selvatici dalle loro condizioni di vita. Questo semmai è un problema, quello del randagismo creato dall’egoismo umano, l’indole del lupo di fronte ad una pecora, invece, è natura. Tra l’altro esistono soluzioni molto efficaci per proteggere le greggi dal lupo: sono i recinti elettrificati, molto spesso messi a disposizione gratuitamente agli allevatori, ed i cani da guardiania come il pastore abruzzese, che se ben addestrato sviluppa al meglio la naturale predisposizione alla guardia del gregge. Zone d’Italia storicamente abituate alla presenza del lupo come l’Abruzzo, dimostrano che utilizzando queste semplici misure la pacifica convivenza uomo-lupo non solo è possibile, ma porta benefici ad entrambi; senza contare che la presenza stabile del lupo e degli altri selvatici, inoltre, incentiva il turismo naturalistico, oggi in rapida crescita, e questo porta denaro sonante alle popolazioni locali” – dettagli da non sottovalutare.

“Immaginiamo di andare indietro nel tempo, 20.000-30.000 anni fa: uomo e lupo vivevano lo stesso habitat, cacciavano lo stesse prede e fra loro c’era un estremo rispetto, anzi, da parte dell’uomo sicuramente una sorta di ammirazione per quel cacciatore così perfetto. Avvenne che i due cominciarono a collaborare nelle battute, ognuno indirettamente traeva vantaggio dall’azione dell’altro, così ben presto vennero in contatto; forse un avvicinamento progressivo fino alla carezza, forse dei cuccioli trovatelli allevati nella tribù. Da allora il lupo divenne cane per il resto dell’esistenza umana, così oggi lo teniamo in casa, ci fa compagnia, copre il nostro bisogno d’affetto, ci aiuta nei lavori più svariati, spesso salva addirittura le nostre vite. Ecco, proviamo a guardare il tutto da questo punto di vista, lupo e cane sono la stessa cosa, l’uno versione ancestrale dell’altro, questa è l’interpretazione che preferisco, che è poi quella scientificamente accettata e direi geneticamente provata. Per il resto, cappuccetti rossi sbranati, nonne mangiate o lupi mannari, li considero retaggi medievali che nonostante tutto persistono ai giorni nostri.” – questa la suggestiva conclusione di Fabrizio Moscè sul tema, degna di chi è figlio di una generazione cresciuta a pane e Jack London, da cui abbiamo solo da imparare.