REFERENDUM: A QUANDO LE MOZIONI ‘PEPPA PIG PER L’ADDIO AL CNEL’ E ‘CUGINI DI CAMPAGNA CONTRO IL PREMIERATO FORTE’? LIBERATECI

 

Leo Gullotta: “Amuninne, votate No!”. “Accorsi, Capotondi, Beppe Fiorello e Silvio Orlando, un solo grido si leva: “Sì!”. Rossella Brescia: “Brutta brutta questa riforma!”. Carla Fracci: “Un, due, tre, un due, tre… Sì!”. Piero Pelù: “La dittaturaaa è una gran fregaturaaaaeee: voterò Noooooaaaa”. Bocelli: “Con teee, partiròòò, su naaavi per maaaari, che io lo…. Sì!”. J-Ax: “Tetra-Idro e rivoluzione-tra le note della Costituzione-non è verde soltanto la Lega-che divora la società-ma è verde un Renzi che vibra-piccolo spazio… via l’immunità!”. Caterina Caselli: “Nessuno mi può sfiduciare nemmeno tu-io voto sì, ti fa male lo so-ormai questo vecchio Senato non serve più-io voto sì, ti fa male lo so”.

Sì, è tutto vero: ci siamo ridotti così. Che le campane della dignità in Italia suonassero reiteratamente a morto lo sapevamo già: ne udiamo da settimane i sinistri rintocchi da ogni sgabello televisivo, dai datati palazzi (soggetti a desertificazioni sahariane) della politica, dai giornali ridotti a sguaiate “fanzine” dei vari “commandos” ultras, dalla cagnara globale dei social network e persino dai bar, dalle sale d’attesa di pneumologi e osteopati o da quelle governate dagli acari delle stazioni. L’orlo almodovariano della crisi di nervi lo abbiamo oltrepassato da quel dì: colpa di una campagna elettorale sfibrante, ridondante e insulsa (e per accanimento terapeutico, tirata inutilmente alle calende greche). Fin qui però tutte cose dette e ridette. Si poteva far peggio? No. Era più facile vedere Gigi d’Alessio trionfante ai Grammy o un Marione Adinolfi oro iridato nel pentathlon moderno. Invece ci stiamo mestamente riuscendo: negli ultimi giorni lo “squallometro” delle concioni referendarie ha raggiunto vette difficilmente pensabili.

Ultima aberrante moda: gli spottoni elettorali di vip, vipparelli e vipponi. Ugole d’oro e menestrelli. Starlette e soubrette. Saltimbanchi e caratteristi. Romanzieri e ballerini. Attori protagonisti e comparse. Nella ridicola grandinata di endorsement mancano soltanto le mozioni “Peppa Pig per l’addio al Cnel”, “Cristina D’Avena No immunità”, “Cugini di Campagna contro il premierato forte” e “Gabibbo per un Senato snello”. Che poi uno la sera torna a casa, e una volta adagiato sulla tazza (solo lì scattano certi interrogativi) si chiede: cavolo, quanta guadagna il No grazie alla voce suadente di Claudio Santamaria? E tra un ragù di capriolo e una spuma di spigola, lo chef Massimo Bottura quanti Sì porta in cascina a Renzi e banda? Ma a tutta questa gente cosa gliene viene, a parte i 38 farseschi secondi di visibilità che ormai di fronte a un Sì o a un No dichiarato non si negano neanche a un pesce rosso da fontanella? E lì il groppo alla gola diventa passibile di tracheotomia, perché la risposta la sappiamo: una mazza.

Ora: non bastavano già deputati, senatori, capipartito e capibastone a maltrattarci le parti intime? Non erano sufficienti gli stralci dei discorsi del ’48 di Calamandrei, Croce, La Pira e compagnia post-belligerante citati dai sostenitori del No come se invece che padri costituenti fossero tutti padri loro? Oppure la sfrontatezza del fronte del Sì nel tirar fuori dal feretro il compianto Thomas Jefferson per sbatterlo malamente in qualsivoglia slogan solo perché disse “Ogni generazione deve avere la sua Costituzione”? (Infatti i suoi Usa, a parte qualche postilla, non la cambiano da due secoli e passa). Non ne avevamo abbastanza? Evidentemente No.

A questo punto il 4 dicembre ambisce a soppiantare il 25 aprile come giorno della Liberazione: ancora dieci giorni e non saremo più vittime consapevolissime di questa deprecabile (su ambo gli schieramenti) e avvilente campagna referendaria (ripensando alle amministrative di giugno, i dibatti di allora raffrontati a questi ci paiono chiacchierate tra filologi e glottologi d’età illuminista). Espressioni come “combinato disposto”, “contrappeso”, “bicameralismo” o “monocameralismo”, che da circa tre mesi ci provocano parestesie, dermatiti e diverticoli, si faranno più rade e piano piano i nostri timpani torneranno ad ascoltare il silenzio dei giusti. Chiunque vincerà la mattina del 5 dicembre avremo ancora la nostra sveglia, la tazza con latte, caffè e muesli, dentifricio, deodorante stick e via al lavoro.

Una domanda un pochino più seria però sopraggiunge ora che il baratro politico e comunicativo è stato toccato: ma forse non era il caso di ritoccare in primis l’articolo 138, quello che tra le altre cose prevede il referendum consultivo sulle leggi di revisione costituzionale? Se proprio bisogna cambiarla sta benedetta Costituzione, la politica non può fare da sola senza ridurre allo stremo un intero popolo? E’ giusto che la signora Carmela (sì, l’arcinota casalinga di Voghera) sia chiamata a decidere delle sorti del Cnel dovendosi sorbire la Ferilli, la Parietti, J-Ax, Bocelli e tutta l’orchestra maramaldeggiante? Va bene la democrazia diretta, ma attenzione: nel referendum più noto della storia, ricordiamoci che il popolo stanco del viaggio scelse Barabba. Chiaro no?

 

Valerio Mingarelli