ASILI ORWELLIANI E “FABRIANO HORROR PICTURE SHOW”: LA MAESTRA-MOSTRA CI INDIGNA MA CI FA COMODO

Al grido di “signora mia dove andremo a finire!” la scorsa settimana l’Aula di Montecitorio ha licenziato in fretta e furia un perentorio provvedimento dal titolo “Disposizioni in materia di videosorveglianza negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia nonché presso le strutture socio-assistenziali per anziani, disabili e minori in situazione di disagio”. In barba alle calende greche che da sempre contrassegnano il tormentato iter di una proposta di legge nella palude delle commissioni, stavolta si è proceduto in un battibaleno alla “crasi” di due testi. Entrambi ad “autografo” femminile: il primo della “pasionaria” forzista Giammanco, il secondo della nostrana olimpionica di fioretto (e di assenze in emiciclo) Vezzali. Operazioni di voto fulminee e… trac, svolta orwelliana compiuta.

D’ora in poi, laddove c’è un soggetto da considerarsi “debole” che sia un bambino, un anziano o un disabile, ci sarà una telecamera a filmare il tutto. Troppo brutte le cronache degli ultimi tempi, infarcite di angherie, vaffanculi e contumelie tutt’altro che pedagogizzanti negli asili. O di botte da orbi in case-albergo o di riposo per non più giovani. Bisognava far calare la mannaia su certi (ignobili) soprusi, e dunque via con il “Grande Fratello”. Preso in mano il fugace documento (già in viaggio verso Palazzo Madama per il disco verde definitivo) gli interrogativi sono arrivati a frotte. Il primo, più semplice e materiale: chi paga? Per le scuole pubbliche provvederanno i comuni, per le strutture socio-sanitarie le Asl (dead-line tra sei mesi). Bene: tutti enti noti per i carpiati multipli nel trovare anche soltanto un euro e venti in più da spendere (e per i buffi sparsi a destra e a mancina). Punto secondo: è sufficiente premere il tasto “rec” per arginare cotanta miseria umana? Certo, l’obbiettivo “spione” è un bel deterrente. Però no, non basta. Perché la faccenda apre ad altri sotto-quesiti, uno dei quali basilare: chi si sorbetterà centinaia di ore di “girato”? E qui, anche per i ripetuti borbottii del Garante per la Privacy, sprofondiamo in uno spy-system da FBI in tempi di Guerra Fredda. Le videocamere – specifica il testo – dovranno essere a circuito chiuso e produrranno audiovisivi cifrati con due chiavi di lettura: una per il dirigente scolastico, l’altra per un ente certificato terzo. Già, ma quale? Sarebbe fantastico se il mega-reality show potesse generare una bella grandinata di nuovi posti di lavoro pubblici. Però in allegato alla legge c’è solo un assegno da 5 milioni di euro, buono sì e no soltanto per imbastire il “tagliando” psico-attitudinale delle migliaia di maestre sparpagliate per le scuole dell’infanzia dello Stivale.

A proposito di attitudini, di stabilità psichiche e di test: è tutto decisivo e dirimente. Le cineprese “mignon” scoprono vessazioni e porcherie a fattaccio avvenuto, ma non è detto che le prevengano. I relatori della legge, spinti da decine di gruppi Facebook di mamme (talvolta legittimamente) incarognite, hanno predisposto dunque verifiche attente. Da fare al momento dell’arruolamento e poi con cadenza periodica. Ogni quanto? Boh. Ad opera di chi? Ri-boh. Forse del dirigente scolastico, al quale tra poco verrà chiesto anche di passare lo straccio e il Viakal per lo sporco più ostinato. Quindi intenti buonissimi: insultare e maltrattare i più deboli è pratica orrida. Specie sui bambini, che ne restano marchiati a vita. La legge però così è un brodino caldo, dettato più dall’atavica sete di un giusto “taglione” che dal buon senso.

Va boh, la miglioreranno in Senato (ho pensato seguendo il voto del 19 ottobre). A venirmi in soccorso però ieri è arrivata la mia Fabriano, sbalzata dalla sua routine sonnolenta sui titoli dei principali TG nazionali e sugli occhielli delle più cliccate testate web. La storia è esiziale: minuti di orripilante violenza perpetrati da un’insegnante supplente ai danni di un ristretto gruppo di malcapitati bambini, in un centralissimo istituto della città. Il materiale audiovisivo risale a maggio: perché arrivasse sul monitor di un pubblico ufficiale ci è voluto non uno sguardo orwelliano issato ad altezza plafoniera, ma semplicemente quello premuroso e attento di una madre. La quale si è accorta che qualcosa in suo figlio non andava, ed è riuscita nell’impresa (non facile a quell’età) di fargli vuotare il sacco. Il video, diventato subito “virale” nella sua totale schifezza ed empietà, si commenta da solo: nel 2016 vedere raptus da TSO immediato di quella portata non crea solo sdegno, ma fa venire conati di vomito. A 4-5 anni i bambini sono spugne che assorbono tutto e vederli sotto scacco di una donna spiritata è una gomitata alla bocca dello stomaco.

Gli inquirenti (bravi) hanno fatto sapere che la donna è stata rimossa e non avrà altri incarichi. E che pagherà. Tutto finito? Macché. Nello sfilacciato tessuto sociale cittadino quel video ha avuto l’effetto di un bicchiere di nafta sopra un’ulcera perforata e ha scatenato una sete di sangue “transilvaniana”. Vampirismo che in città non è solo virtuale, ma autentico, visto che solo pochi giorni fa sui social si è dato vita a un festival di emoticon digrignate per due fazzoletti sporchi di sangue fotografati in un vicolo. A Fabriano sono tempi grami: incapace di reagire all’abbraccio sconquassante della crisi economica e di fare quadrato, da qualche anno la cittadinanza vive il suo “Horror Picture Show”. L’individualismo stagnante è il leit motiv esistenziale e il latrato costante la colonna sonora, nell’allegoria tragicomica e impaurita di una comunità che continua a vivere come nei rigogliosi tempi andati. Dove ognuno senza troppo sudore cura la propria aiuola tenendo la coda dell’occhio vigile su quella del vicino (fosse mai che diventi più verde). E se qualcuno prova a farsi venire un’idea, viene bollato d’istante come visionario e squinternato per poi venire incenerito sul sempre fiammeggiante rogo della maldicenza e del sussurro di corridoio. Non ci si sveglia, dunque: in pochi mesi Fabriano ha scoperto che chi tracanna alcol a galloni può stramazzare a terra, che un centro-massaggi cinese può offrire pure un “gran finale” bollente, che i cani defecano dove vogliono e che qualche squillo può battere per strada. Sulle aziende che chiudono (o sloggiano) favellano in pochi, o sulla ex banca territoriale che va a ramengo: l’importante è che aggiusti l’orologio sul tetto, dovessimo mai perdere la cognizione del tempo (forse servirebbe). In un’arena simile, la maestra che fa rima con “mostra” diventa il pungiball perfetto dove sfogare rabbia, frustrazione, bile e qualunquismo. Il comportamento di questa donna è deprecabile, ma ai fabrianesi fa quasi comodo avere un volto sul quale puntare l’indice. Repetita iuvant: nessun alibi, il caso è osceno. Questa donna però in 24 ore è diventata una sorta di Annamaria Franzoni in versione cartaia e “Favrià” non avrà pace finché non vedrà rotolare la sua testa lungo il lastricato del Corso. Solo lì ci sarà una sorta di malsana euforia, e ci metteremo tutti a ballare freneticamente il “Time Warp” come appunto nell’Horror Picture Show.

Tutto ciò riporta alla via maestra: quella legge va formattata. Ok con la spia in sedici noni, ma è l’occhio umano che deve tornare a funzionare privo di miopie: un pulsante non scongiurerà certe porcate. Inoltre, è ora di non considerare più quello della maestra come un lavoro di second’ordine o di manovalanza intellettuale: è gravoso e pieno di responsabilità. Perché la nostra maestra d’asilo è una figura che ci resta tatuata addosso nell’età adulta. E se invece di un tatuaggio a forma di cuore ci lascia un livido, beh, non è cosa.

Valerio Mingarelli