ALL’ELETTOR NON FAR SAPERE QUANTO E’ CUPO IL TRAMONTO DEL CAVALIERE

Gli elettori di centrodestra sono in preda ad allucinazioni da alcaloidi. E la situazione si aggrava di ora in ora: si iniziano a registrare pure le prime labirintiti e diverse psicosi puerperali. Dopo vent’anni di giubileo politico, scandito da goleade elettorali, gozzoviglie amministrative, piazze furoreggianti e soprattutto reiterate “legnate” ai mosci sinistrorsi, adesso la vita dei cittadini col muscolo cardiaco a destra è un incubo. Un’angosciosa visione da film di David Lynch. Che rende la chiamata alle armi per le elezioni amministrative del prossimo 5 giugno piacevole quanto una terapia di cateterismo tubarico. Nei 1387 comuni dove si vota, l’alleanza che andava dal più indefesso leghista della Val Brembana fino all’ultimo samurai post-democristiano è ridotta a poltiglia: se si esclude Milano, dove ci si è riuniti tutti sotto l’ombrello di Stefano Parisi, nelle altre città siamo di fronte a un filotto di gag da far invidia al miglior Petrolini.

Per comprendere il livello di fanta-cabaret raggiunto, riavvolgiamo il nastro allo scorso 28 aprile. Ore 11.08: una nota stampa di Renato Brunetta titola baldanzosa “Bertolaso rappresenta civismo operoso già premiato dagli elettori”. Ore 12.43 (stesso giorno), sempre Renatino: “Con Marchini si torna da dove si era partiti, CDX vince al Centro”. Roba da far impallidire persino Sigmund Freud. Ma gli spunti da avanspettacolo non si fermano qui. Alla provincia autonoma di Bolzano i candidati del centrodestra sono sei: mancano soltanto un mastro pasticcere specializzato in Strudel e un geometra diplomato in muri anti-migranti al Brennero. A Latina, feudo nero per antonomasia, tra Casa Pound e balilla assortiti per la fascia tricolore gareggeranno in quattro. A Napoli la Meloni ha candidato Taglialatela come rappresaglia per l’endorsement di Silvio a “Calce&Martello” Marchini in quel di Roma. Al contrario, l’incipriato di Arcore per Benevento ha tolto dalla naftalina Clemente Mastella (sì, avete capito bene) pur di creare una pancreatite a Salvini. In mezzo a tutto ciò ci sono i cittadini, in preda al caos psico-fisico. Siamo al limite dell’istinto autodistruttivo: manca soltanto il leghista che decide di farla finita bevendo tre pinte di acqua del Po o il forzista che si butta dal predellino con l’auto in corsa. Sarcasmo a parte, la faccenda è tragica: di fronte a tante macerie, Renzi sguazza così tanto che alla PlayStation ora fa vincere Orfini (ma solo il terzo lunedì del mese).

Provare a capirci qualcosa è snervante: ad oggi appare più facile completare il cubo di Rubik che il puzzle del centrodestra. Salvini sembra una vecchia musicassetta con un solo ritornello: no migranti, no euro, no Fornero. In tv è più invasivo dei sottopancia e nei talk show più presente dei divanetti. Avanti di questo passo pianterà una tenda Jamboree sul prato del braccio E di Saxa Rubra per schiacciare pisolini tra un’ospitata e l’altra. La pasionaria della Garbatella Meloni invece ha assunto dei grafici che usano Photoshop sotto l’effetto di assenzio e centerbe, oltre a uno sloganista la cui verve creativa spazia dalla premura del “Mai fare il bagno dopo mangiato” al vecchio dogma proverbiale “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. Almeno però i due giovani selfie-leader imbevuti di lepenismo e logorrea twittarola riescono a tirar acqua al loro mulino. Da ‘Eja Eja Alalà’ a ‘Ahia ahia… chi va là’ sono petulanti e spesso inconcludenti, ma chi dà loro ascolto c’è.

Se oggi il centrodestra è sbriciolato come pasta brisèe, bisogna guardare al crepuscolo berlusconiano e all’armata di imbolsiti frammenti da museo che albergano in Forza Italia. Berlusconi, per chi lo ha amato e per chi lo ha odiato, aveva due doti riconosciute: la guasconeria contagiosa e il piglio del condottiero audace (e sagace). Alle pendici degli 80 anni appare in stato confusionale e depresso. Non ne azzecca una nemmeno con la sfera di cristallo, i suoi caporali di partito lo scimmiottano facendo un po’ il cavolo che vogliono e ogni sua dichiarazione viene presa come il diktat del nonnetto scemo in preda ad attacchi di demenza senile. Inoltre non più una barzelletta, un apprezzamento tracotante al gentil sesso, oppure due belle corna sparate in un consesso pubblico. Niente oratoria bombastica, né perentorie arringhe (e lusinghe). Al massimo può capitare che si sbagli piazza, come a Segrate dove si è presentato strozzato nella consueta cravatta di Marinella al comizio del candidato piddino. Nei pranzi a Palazzo Grazioli se ne sta a capotavola come il povero Paolo Panelli in “Parenti Serpenti” di Monicelli mentre i suoi si accapigliano. Se la Bergamini dice “Pinot Grigio”, la Gelmini controbatte “Cabernet”. Se Romani chiede il parmigiano, Brunetta vuole il pecorino. Se la Rossi reclama il tiramisù, la Prestigiacomo grida al profiteroles. Rabbuiato, lui ordina un Moment e va a sonnecchiare sul futon attaccato alla cuccetta di Dudù (il quale, perfido, nel frattempo si gode i 621 tweet giornalieri di Dorsey-Gasparri). Forza Italia sembra il circoletto “Nemici-amici della briscola”, e il suo sfavillante nocchiero un ciliegio in autunno. Dopo i mancati pranzi si rifà divorando allenatori del Milan con la voracità di un Adinolfi davanti a un buffet di bignè al pistacchio: la squadra vorrebbe sbolognarla a qualcuno, ma allo stato attuale il Diavolo ha l’appetibilità del libro della Santanché e la credibilità del parrucchiere di Balotelli. Almeno appiopperà Mediaset ai francesi di Vivendi, sempre che Bollorè non si imbatta in un episodio de “Il Segreto” o in un dibattito di “Pomeriggio Cinque” (in quel caso è facile che si butti su Umbria TV).

Peccato: Silvietto nostro, dopo tanti trionfi cavallereschi, fa la tenerezza di un Trudi. A tenerlo in piedi c’è l’amore dei suoi elettori, i quali non esistono praticamente più ma a lui non è stato riferito. Così come ai pochi di loro rimasti, tutti over 87, viene detto che a Palazzo Chigi c’è ancora lui e che presto debellerà giudici, comunisti, Imu e fame nel mondo. Spettatori malinconici del cupo tramonto rimaniamo noi, consci che ci attendono altri dieci anni di #MatteoRisponde su Facebook. Che, come si dice al Pigneto, “non se augureno”.

Valerio Mingarelli