CATENE NON HA, IL QUORUM E’ UNO ZINGARO E VA

“Non sono ciaone, non sono fri fri, sono deputato, e ti faccio un c…”. Ci starebbe a puntino, Lino Banfi, come jingle sonoro di accompagnamento ai titoli di coda di uno dei week-end più imbarazzanti, mesti e sciatti della settantennale storia repubblicana. Baruffe da saloon, cori ingiuriosi da curva sud, tweet beoti, gare di “suka” e altre bimbominchiate hanno fatto da sceneggiatura svilente a uno spettacolo da raccapriccio. E ancora: mistificazioni da mago Houdini, parapiglia da colonia estiva di bimbi seienni, sproloqui gratuiti. Comunque la si pensi su idrocarburi, piattaforme e royalty (non raccontiamoci fregnacce: a buona parte d’Italia non frega un tubo), domenica siamo stati tutti attori e spettatori (dal premier fino all’ultimo dei twittaroli) di una tragicommedia nazionale degna del Goldoni più ispirato. Il cui epilogo era più scontato dello scudetto della Juve: a sentirli, sto diamine di referendum lo hanno vinto tutti. Ovviamente non è così: questa è solo una delle tante panzane che hanno sfilato nella sagra della panzana. Per smentirle tutte servirebbero le pagine dello Zibaldone di Leopardi: qui ci limitiamo a un diario per punti di un fine settimana sconcertante per dialettica e prossemica politica.

1) Non hanno vinto tutti: semmai non ha vinto nessuno visto che il quorum si è visto col binocolo. Se proprio vogliamo sorseggiare il sangue dei vinti alla mescita, allora guardiamo la realtà: nove giunte regionali hanno presentato 6 proposte, 5 delle quali sono state recepite (e puntualmente annacquate) dal governo nello “Sblocca Italia”. E’ rimasto questo quesito, monco e mal formulato. Sul quale i primi a non crederci sono stati proprio i governatori proponenti, datisi alla macchia quando la campagna è entrata nel vivo. Tutti, tranne il duo Emiliano-Pittella. Il primo in special modo, si è eretto a totem no-triv in chiave anti-Renzi: dalla Cnn a Tele Norba ha rilasciato così tante interviste da far invidia alla Clinton pre-caucus dell’Iowa. Dopo la legnata, domenica sera (tra balbettii e uscite di senno) ha dichiarato a reti unificate che ha vinto lui, come quegli allenatori contenti dopo un 0-5 in casa (nella sua Bari alle urne il 40%, di che parliamo?)

2)Politicamente ha vinto Renzi? Sì, e neppure di poco. Il diktat “andate al mare”, con il quale Craxi nel ’91 si fece “suonare” come un oboe dal paludato Mariotto Segni, per il gigliato ha funzionato. Ha cementificato contro di lui un asse composto da Lega, Fdi, il grosso dei brandelli di Forza Italia, emarginati del PD, M5S, Verdi, Sel, rimasugli di sinistra, ambientalisti, emo e rastafariani. Mancavano solo ottentotti e pigmei, vassalli e valvassini, camaldolesi e cappuccini. Risultato: Renzi si ritrova con avversari esterni frantumati e comatosi e nemici interni depressi e rabbuiati. Il suo ego domenica alle 23 andava ben oltre le 12 miglia.

3)Il “ciaone” di Ernesto Carbone, ritwittato da ‘Dem’ festanti e ciambellani di corte del premier, è di una tristezza sesquipedale. Quando Renzi trionfa nel merito, il metodo è sempre rivedibile. “Parte della classe dirigente vive su Facebook e Twitter”. Già. Lui invece usa anche Instagram e Pinterest. “Buttati 300 milioni, ci compravo 350 carrozze per i pendolari”. Premesso che uno spazio di democrazia non si può mettere sul prezzario, a quel “tram chiamato desiderio” non ci crede neppure lui: i soldi sarebbero finiti lo stesso a tiro di sciacquone. Poi però ecco Fratoianni (Sel): “Dopo il voto Renzi non è più lo stesso” (What Else?) A sbaragliare la tenzone su Twitter infine è arrivato il Flaubert dei social network, Maurizio Gasparri: “L’astensionismo non c’entra, è che la gente non è andata a votare”. Chiudete l’internet, ha vinto ancora lui.

4) Renzi: “Hanno vinto i lavoratori”. Panzana delle panzane. “Ne abbiamo salvati 11 mila” (sono cresciuti di mille al giorno in una settimana). Il premier ha fatto tre spirometrie per soffiare (con astuzia) sullo spauracchio dei posti di lavoro in fumo. Boiata n°1: sulle piattaforme off-shore “toccate” dal quesito lavorano 79 operai in tutto. Specializzatissimi e quindi ricollocabilissimi (non mandi in mezzo al mare uno appena uscito da un Itis), mentre il resto della forza lavoro non è quantificabile perché gli ingegneri e i tecnici lavorano a più progetti. Lo ha detto Assomineraria, non un punkabbestia ad un gazebo no-triv. Tanto che dopo i barriti iniziali, anche la Camusso s’è addolcita. Boiata n°2: delle licenze in questione vanno in scadenza nel 2022 solo 5 di esse. Tutte le altre tra il 2031 e il 2034. Ora: che gli stessi che hanno preso a randellate l’articolo 18 (giusto o errato che sia) si preoccupino per gente a cui (potrebbe) scadere il contratto tra 15-18 anni, beh, sembra una gag comica che neppure il Crozza più in serata.

5) Bastardi! Popolo bue! Popolo chianina! Popolo entrecote! Avete solo il voto come arma! Chiariamoci: il monsone di insulti piovuto su chi si è astenuto è altrettanto disarmante. Votare è diritto e dovere, ma laddove c’è un quorum non presentarsi diventa una scelta di voto. Il quorum falsa il gioco? Sì, perché dà a chi sostiene il ‘no’ due risultati su tre. E in un paese con un 30-35% di astensione fisiologica anche quando si vota sulla fine del mondo, ai “referenda” si rischia una quantità di latitanti pari (in proporzione) a quella di una riunione di condominio sulla Tuscolana. Catene non ha, il quorum è uno zingaro e va: nel 2011 su nucleare e acqua pubblica fu raggiunto col pilota automatico in sfregio a Silvio da Arcore. Però sugli abrogativi andrebbe eliminato: così fa ridere.

6) Panzane finali sul vil denaro. I sì-triv hanno agitato anche l’arazzo nero (col simbolo dell’euro vicino al teschio) del dramma economico. Paventando addirittura un andirivieni di petroliere nell’Adriatico più fitto del traffico sul raccordo anulare alle 7 di sera. Del petrolio estratto dalle piattaforme in questione però ne resta in Italia un 3%, di navi agli incroci nei nostri mari ce ne sono già tante (fatevi un giro ai porti di Taranto, Brindisi, Ancona, etc), quindi i pipponi sulla autosufficienza energetica agitati contro la decrescita felice lasciano il tempo che trovano. Altresì, avevano ragione a tonnellate (i sì-triv) sul gas naturale: le strutture che lo estraggono non dovevano neppure essere tirate in ballo, polo del ravennate in primis. Arriveranno più soldi allo Stato dopo il mancato quorum? Ma va. Le major del petrolio, che non sono tutte “cattivone” ma nemmeno opere pie dedite ad azioni samaritane, avendo più tempo rimarranno ogni anno dentro la franchigia, evitando di pagare anche quei quattro spicci di royalty. Il petrolio è ancora indispensabile? Sì lo è, e le rinnovabili ancora (pur sgassando) sono indietro. A “depennare” l’oro nero ci penserà la storia (un referendum la vedo dura): dal 2005 al 2014 il consumo in Italia è sceso (fonte UP) da 85,2 milioni di barili a 58,8 milioni. Avanti così, tra qualche anno (5, 10, 15… vedremo) investire sul petrolio sarà come continuare a produrre telefoni startac mentre il mondo gira con l’iPhone 27. E lì, vedrete, non ci sarà quorum che tenga.

Valerio Mingarelli