ARTEMISIA, STORIA DI UNA PASSIONE

Artemisia uno dei personaggi più controversi, discussi della storia dell’arte, divenuta nell’immaginario contemporaneo una figura culto, simbolo della sofferenza, dell’affermazione e dell’indipendenza della donna. Artista d’eccezione quasi trascurata, dimenticata dagli studiosi, ricordata più per la sua vicenda biografica e per essere la figlia del grande Orazio Gentileschi che operò anche nella città di Fabriano. Longhi fu il primo che la studiò nel suo caravaggismo definendola l’unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura e colore. Artemisia plasma il suo stile aggressivo, si rifà al realismo tormentato, all’intensità drammatica nel potente gioco chiaroscurale di Caravaggio, allo stile raffinato-ascetico del padre, all’arte dei fiamminghi Rubens e Van Dyck appresa a Genova, adattandoli alle sue inclinazioni, cambiando stili avvicinandosi anche alla fiorentinità più esasperata e al classicismo napoletano con un virtuosismo alto. Il suo successo fu immediato e di altissimo prestigio, seppe costruire con abilità la propria carriera raggiungendo un riconoscimento senza precedenti nell’ambito della pittura al femminile.Passato oscuro, condizionata dalla vicenda dello stupro subito dall’artista Agostino Tassi, collega del padre, pittore di talento, ma incostante, tradita dall’amica Tuzia, ferita, sconvolta mise la sua vicenda nell’intensa e geniale Giuditta che taglia la testa ad Oloferne, 1613, capolavoro presso Capodimonte a Napoli. La complicità fra donne è uno dei temi favoriti dell’opera pittorica di Artemisia, forse perché serviva a compensare l’amarezza di un’amicizia tradita quella appunto per Tuzia vicina di casa che nel processo per stupro contro il Tassi venne sospettata di favoreggiamento. La sua violenza subita venne nascosta, lo stesso padre Orazio cercò di nascondere il fatto forse per non oscurare la sua carriera di grande pittore di corte. La sua vita fu una continua fuga, passò per Firenze, Roma, Genova, Venezia, Inghilterra dove lavorò col padre a grandi tele per il palazzo reale di Greenwich, Parigi, arrivò anche a Napoli, in quella Napoli seicentesca punto di riferimento di grandi artisti del tempo, dove visse il suo ultimo periodo della sua burrascosa vita in condizioni difficili. La sua rabbia verso l’uomo, spinta dal suo talento vivacissimo la fecero dipingere Susanna e i Vecchioni, dove s’intravedono anche gli insegnamenti artistici del padre: il controllo disciplinato del disegno anatomico, la modulazione sofisticata della luce ed ombra, il delicato accostamento cromatico, in tale dipinto sembra di rivivere l’arte vista di Michelangelo negli affreschi della Sistina. Con Giuditta la fantesca, conservata a Detroit all’Art Institute, uno dei suoi maggiori capolavori, troviamo la drammaticità narrativa, figura femminile vigorosa, massiccia nelle proporzioni, determinazione e forza di volontà in un chiaroscuro magistrale.