SUI SUICIDI BISOGNA ALZARE LA GUARDIA – di Alessandro Moscè

Ci sono argomenti scottanti che destabilizzano un ambiente, una città, ma sui quali è bene riflettere senza ipocrisia. Ancora una volta, a Fabriano, si deve fare i conti con un suicidio. Il numero di decessi provocati volontariamente è impressionante e colpisce ogni fascia di età. Anche le modalità, spesso, sono le stesse. Voli dalle finestre o dai tetti di casa. Un biglietto laconico come lascito. Scuse ai familiari nel segno di una non sopportazione dello stato di sofferenza e prostrazione. Viene da chiedersi che cosa debba fare la società di fronte a questi casi. Certamente alzare la guardia: la depressione è un male che si cura, per cui bisogna ricorrere alle terapie. Bisogna accorgersi di chi sta male, di chi si chiude in sé, di una solitudine disperata. Bisogna ribellarsi a chi dice di no alla vita. Rilanciare e non demordere. Leggo che l’Istat, addirittura, non conta più i suicidi. Perfino sui morti ci sono non una, ma due Italie. L’ultimo dato disponibile è fermo al 2010, con 187 casi tragicamente conclusi e 245 tentati suicidi. I motivi della decisione sono discutibili, ma il punto è che da altre fonti di ricerca le cifre arrivano e sono allarmanti: 121 vittime nei primi sei mesi dell’anno, il semestre di gran lunga peggiore dal 2012. Ufficialmente più nulla, se non il silenzio assordante per rimuovere la coscienza collettiva, il fallimento dell’uomo. Ma è evidente che i casi di suicidio legati alla crisi economica costituiscono un’emergenza crescente, testimoniata dalla recente ricerca dell’Osservatorio sulla Salute nelle regioni italiane, secondo la quale proprio i dissesti economici sono al primo posto tra le motivazioni che spingono a farla finita. Interviene lo psicoanalista Maurizio Montanari “È stata coniata l’espressione suicidio economico per definire una modalità contemporanea di togliersi la vita. Una fase nella quale lavoro, aspettativa sociale e realizzazione, sono concause legate che determinano il crollo nel momento della perdita del lavoro stesso. Negli ultimi dieci anni c’è stato un aumento del 12% dei suicidi tra gli uomini di 25-64 anni, tra coloro che sono coinvolti, appunto, nel mondo del lavoro”. Gli italiani attribuiscono al lavoro una valenza diversa rispetto al passato: non più un mero strumento di sostentamento, ma uno dei pochi punti di tenuta in un legame sociale che è andato allentandosi nel corso di poche generazioni. Il lavoro spesso sopperisce a legami familiari indeboliti, fornisce un’identificazione in un tempo di precarietà, contiene aspirazioni negate in altre parti per mancanza di meritocrazia. Il posto di lavoro diventa un ambiente nel quale ricreare le relazioni che la modernità ha progressivamente eliminato. Alziamo la guardia e sollecitiamo più umanità e solidarietà tra parenti, amici, colleghi, vicini di casa. Specie nei confronti di chi non ha un lavoro o di chi lo ha perso.

Alessandro Moscè