CENTRI COMMERCIALI? COME L’ECONOMIA CAMBIA LA MORFOLOGIA DI UNA CITTÀ

Maurizio Pallante è il presidente del movimento per la Decrescita Felice, una vera e propria rivoluzione etico-sociale. Una sua considerazione interessante dice che “le città sono luoghi in cui l’autoproduzione di beni e la prestazione non mercificata di servizi alla persona trovano difficoltà difficilmente sormontabili”. E difatti i principi di questo movimento sono di tipo comunitaristi, incentrati sul rispetto dell’uomo e sul rispetto dell’ambiente in cui viene ospitato. Alcuni punti del Movimento sono interessanti come “le filiere di produzione e di distribuzione corte e gli acquisti collettivi”, o come “la formazione di un paradigma d’indipendenza locale-regionale, evolvendola nelle comunità locali con economie autocentrate”. Ma l’effettiva finalità che si può dire della decrescita felice è la formazione mentale non consumistica di un uomo nuovo, ancorato alle tradizioni e sradicato dall’omologazione economicista. Obiettivo: veicolare l’importazione di un economia di sussidiarietà come l’autoproduzione e lo scambio non commerciale di beni e servizi per arrivare ad un “uso di tecnologie e sistemi produttivi che ottimizzano l’utilizzo delle risorse naturali ed energetiche”. E le nuove figure infrastrutturali economiche, come i centri commerciali, non rivitalizzano il lato funzionale aggregativo e commerciale di un centro storico cittadino ma detengono un centrale polo d’intrattenimento per il tempo libero dell’individuo. Con i flussi dinamici delle persone – in una struttura artificiale di diretto impatto economico come un centro commerciale – diventa, cosi, un surrogato economicistico di passatempo convivialista con basse pretese. Così l’attività economica del nucleo urbano sarà razionalizzata e distribuita in un unico focolaio di giunzione. La salvaguardia delle botteghe storiche diviene necessità per un riconoscimento culturale identitario del paese. Infatti con il termine “non luogo” coniato dal sociologo francese Marc Augé nel suo saggio “Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità”, si viene a rappresentare uno scontro complementare, sia nell’ambito nell’individualità di un ambiente storico aggregativo, che in quello costruito per una fruizione accelerata (centri commerciali, aeroporti, autostrade). Si racchiude in un unico posto elementi rappresentativi per una cultura massificata. Viene relegato il pensiero di massa prefigurato dalla significatività dei luoghi storici puramente in aree interessanti e non come quel prisma di dimensione vitale per una città. Un conto è la transitabilità di un luogo, il metodo veloce di un acquisto internazionale fruibile e accessibile a tutti, un conto è vivere – non più come effetto simbolico ma come identità comunitaria – la riaffermazione del centro storico urbano.

Paolo Gionchetti