L’8 MARZO DI CRISTINA CORVO, OLTRE LA MALATTIA

di Gigliola Marinelli

Incontrare la professoressa Maria Cristina Corvo non è mai banale. Quando penso a Cristina non riesco a scinderla da Gianni, suo marito e compagno di vita. Li ricordo giovanissimi in Parrocchia, sempre insieme. Cristina, con il microfono in mano, organizzava i gruppi ed i canti per la Messa della domenica, con un sorriso aperto e sincero che gli anni e le difficoltà affrontate recentemente con la malattia non hanno minimamente ombrato. E’ quel sorriso che mi ha abbracciata oggi che quel microfono è in mano a me per questa intervista, che ho fortemente desiderato, per dedicare a Cristina, al suo coraggio ed alla sua forza questo 8 marzo 2020 da condividere con tutte le grandi donne che stanno convivendo con il cancro. E proprio a loro deve giungere tutto il nostro calore ed affetto, in nome di un sentimento di “sorellanza” che abbiamo il dovere di alimentare e proteggere.

Cristina, prima di tutto, come stai?

Bene! Domani farò l’ultima chemio e quindi sono felice!

Hai coraggiosamente scelto di condividere, passo passo, attraverso i social il tuo percorso di cura dalla malattia. Il tuo video, all’inizio dell’anno scolastico, in cui comunicavi ai tuoi studenti che non avresti potuto sedere in cattedra ha fatto il giro del web ed ha commosso e sorpreso tutti noi. E’ stata una scelta dettata dalla volontà di rassicurare le persone a te care o proprio un desiderio personale di esorcizzare la malattia?

L’ho fatto perché volevo che i miei studenti non avessero “paura della paura”. Si può insegnare in tanti modi, sulla cattedra e fuori. Non volevo che venissero a sapere della mia malattia dai “bisbiglii” del corridoio che fanno vedere tutto più nero di quello che è. La condivisione sui social, in realtà, è nata dalla mia voglia di vedere il positivo in ogni situazione. In questo periodo leggo troppo l’utilizzo delle parole “battaglia”, “vincere”, “guerriera” … non sono tanto favorevole a questo linguaggio “bellico” che mi mette ansia, quasi che se non dovessi “vincere” questa “battaglia” come “guerriera” avessi perso qualcosa. Mi piace più il termine “consapevolezza”.

La malattia, il dolore, le difficoltà cambiano o rivelano le persone?

Rivelano, assolutamente, perché la malattia ti chiede di buttar giù la foglia di fico di Adamo e Eva e di restare nudo per quello che sei. Ciò significa riappropriarsi di se stessi e della propria libertà. Se non ci sei abituato, fai fatica a dimostrare le tue fragilità e debolezze.

Chi si trova ad affrontare un lungo ed impegnativo percorso di cura dal cancro, attraverso la chemioterapia, cerca spesso una motivazione antagonista per far sì che il male non prevalga sulla propria volontà di vincerlo. Hai tu stessa una motivazione antagonista?

Partendo dal presupposto che l’età si misura in anni e la vita in altri modi, la mia motivazione antagonista è stata la stessa vita. Gli occhi delle mie nipotine, i baci che mio marito Gianni mi dava, i messaggi delle mie colleghe, i fiori che piantavo e che spuntavano, i tramonti che fotografavo. Tutto era così scintillante di vita che io sono diventata così “ingorda” di vita al punto di essermi anche interessata alla morte.

In questi ultimi mesi hai toccato con mano il lavoro del nostro reparto di Oncologia Medica presso l’Ospedale Profili di Fabriano. Che rapporto hai instaurato con i medici, gli operatori sanitari ma anche con gli altri pazienti?

I medici e gli operatori sanitari li ho sentiti davvero come degli angeli. Quando ti ammali, hai bisogno di sentirti protetta e loro hanno questo potere. Con professionalità, sorrisi, gentilezza, musica di sottofondo, spiegazioni del tuo cammino rendono questo percorso molto più umano. Ti racconto un episodio. Quando mi hanno comunicato che avrei dovuto iniziare la chemioterapia, dovevo fare un prelievo e io ho il terrore degli aghi. Vedendo la mia preoccupazione, l’oncologa non mi ha mandato in laboratorio ma in una stanza dove altre tre donne stavano facevano la chemio. Hanno scherzato con l’infermiera sulla mia fobia degli aghi e non mi sono nemmeno accorta del prelievo. Solo dopo mi sono resa conto dell’atto di amore che avevano fatto nei miei confronti: riuscivano a sorridere ed a distrarmi della mia paura degli aghi proprio nel momento in cui loro stesse stavano effettuando la terapia.

Come vive una donna i mutamenti ed i cambiamenti del proprio corpo a seguito della chemioterapia?

La chemio è un piccolo percorso ad ostacoli. Il segreto non è guardare in fondo, ma fare un passo per volta. Se ci pensi bene è il segreto della vita per arrivare in cima alla montagna. Guardandoti indietro poi capisci che ce l’hai fatta, passo dopo passo. Guardarsi allo specchio, osservare i cambiamenti ed accettarli è imparare a “ri-amare” te stessa, proprio con quei cambiamenti. Ma siccome l’amore per se stessi passa attraverso lo sguardo degli altri, in questo tipo di tumore è importante la sguardo di tuo marito, uno sguardo bellissimo, che mi ridona vita ogni giorno. Avere la sua mano che mi tiene quando devo sentire il suo calore nella mia, per ogni passo che ho fatto, è stata la mia forza. Oltre al marito ci sono tutti gli altri: la famiglia, le colleghe, gli studenti, le amiche. In questi frangenti ti rendi conto che non esistono persone forti e deboli, ma persone che danno il permesso agli altri di sorreggerti. Quindi ne sono uscita grazie alle carezze quotidiane che ho ricevuto.

Che consiglio ti senti di dare alle donne che vivono questo passaggio delicato della loro vita?

Di sfruttarlo, per imparare a voler bene a loro stesse, perché le donne non si vogliono sempre bene. Una donna deve curare le proprie passioni ed interessi nella vita. La malattia ti obbliga ad avere un ritmo lento in cui tu puoi sentirti o sfortunata, perché non puoi più fare tutto quello che facevi prima, o fortunata perchè puoi allenarti a guardare la “scintillanza” intorno a te.

Come vivrai questo tuo particolare 8 marzo e quale augurio fai a te stessa e a tutte le donne che condividono questa esperienza di vita come te?

Il mio augurio alle donne è semplice: essere felici, intelligenti, indipendenti economicamente, curiose di tutto, viaggiatrici, realizzate. Per chi vive questa esperienza della malattia, auguro di trovare innanzitutto dei medici bravi, non è sempre facile, e di alzare lo sguardo verso il Cielo. Il Cielo ti permette di fiorire, anche se il tuo mondo interiore è un po’ increspato. Nei momenti di maggiore debolezza e fragilità abbiamo bisogno di sentire Dio, un Dio che non deve rimanere chiuso in sagrestia ma che ci accompagna ogni giorno e che possiamo vedere riflesso in ogni nostra azione quotidiana. Nei miei momenti di preghiera immagino spesso di sentire Dio che prende il mio viso tra le sue mani e mi bacia sulle guance, quasi uno scambio amorevole che, grazie alla Fede, dona luce al mio cammino. A me stessa auguro per questo 8 marzo 2020 di continuare a sentire e toccare con mano questo spirito di “sorellanza” con le altre donne. Non dimentichiamo mai che noi donne abbiamo un grande potere, siamo noi che educhiamo i maschi, quindi siamo noi che possiamo cambiare il mondo. E su questa consapevolezza dobbiamo costruire la nostra forza.