EMERGENZA RIFIUTI, “NELLE MARCHE BISOGNA INVESTIRE NEL BIOMETANO”

Ancona – «Secondo l’ultimo report della Regione Marche, nel 2017 sono stati raccolti in maniera differenziata oltre 66.000 tonnellate di verde ed oltre 150.000 tonnellate di organico, per una media di produzione di rifiuti pro capite superiore ai 140 kg/abitante*anno” – sottolinea Francesca Pulcini, presidente di Legambiente Marche – «Le ATA hanno avviato da tempo i lavori per le approvazioni dei rispettivi Piani d’Ambito e questa è l’occasione perfetta per investire in un’impiantistica adatta allo sviluppo del biometano, considerando che oltre il 30% della frazione organica prodotta viene trattata fuori regione per mancanza di impianti e che gli impianti in Regione a gestione pubblica riescono a coprire solamente il 38% del fabbisogno regionale di recupero della frazione organica, mediante solo compostaggio. Nel frattempo, mentre una preziosa risorsa come la FORSU (frazione organica del rifiuto solido urbano) non viene adeguatamente sfruttata, l’Eni continua la sua corsa all’estrazione di metano fossile e pochi mesi fa ha presentato una nuova richiesta di perforazione al largo di Falconara. Siamo convinti che per continuare a crescere e migliorare la qualità e la percentuale di raccolta differenziata sia fondamentale lavorare su un’impiantistica integrata tra le singole ATA con la fondamentale regia della Regione, per ottimizzare i costi di gestione ambientale ed economica».

Il biometano, infatti, è un anello fondamentale per il corretto trattamento dei rifiuti biodegradabili nell’ambito del nuovo scenario dell’economia circolare a livello nazionale, a partire dalle regioni del centro sud, ed europeo. Può avere, inoltre, un ruolo fondamentale nella strategia energetica del nostro Paese, per ridurre l’inquinamento atmosferico e nella lotta ai cambiamenti climatici.

In base a quanto affermato dal Comitato Termotecnico Italiano, il biometano è in grado di evitare l’immissione di gas serra di almeno il 75% rispetto a quelle dei combustibili fossili, un contributo fondamentale all’obiettivo di contenimento del surriscaldamento del pianeta entro 1,5 gradi centigradi come recentemente auspicato dal Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC). L’intero processo, oltre alla produzione di energia verde, permette inoltre di avere come risultato finale un ammendante utile a ridare fertilità ai suoli impoveriti dall’agricoltura intensiva. Senza dimenticare che il biometano “fatto bene” è una grande opportunità economica per i territori, anche in relazione alla creazione di nuovi posti di lavoro.

«Il biometano non solo si presta ad essere e a diventare un fonte energetica sempre più strategica nel settore dei trasporti e dei consumi domestici, ma siamo convinti giocherà un ruolo fondamentale nella transizione energetica, offrendo importanti occasioni di rilancio per le imprese, soprattutto agricole, oltre che uno strumento fondamentale per la lotta ai cambiamenti climatici e nella gestione dei rifiuti – aggiunge Pulcini –. In particolare su quest’ultimo punto non possiamo più aspettare. Per ottimizzare il processo e rendere efficiente il sistema di trattamento dell’organico, occorre partire con la realizzazione di nuovi impianti di digestione anaerobica per la produzione di biometano. Per favorire lo sviluppo di un sistema integrato e soprattutto “fatto bene”, è necessario da subito individuare necessità e creare sinergie, sostenendo l’impegno di Istituzioni e imprese e coinvolgendo i cittadini sulla strategicità, i vantaggi ambientali ed economici e garantendone la partecipazione con strumenti che integrino il normale iter autorizzativo, fornendo un’informazione corretta e trasparente».

II 2018, inoltre, è stato l’anno di approvazione del tanto atteso decreto per la promozione dell’uso del biometano nel settore dei trasporti. Una misura che, insieme alla definitiva approvazione del nuovo pacchetto di direttive europee sull’economia circolare, che pone tra gli altri l’obbligo della raccolta separata dell’organico a livello europeo, deve accelerare la transizione verso un modello di consumo più sostenibile. Con lo stesso decreto si aprono nuovi e importanti scenari, a partire dai 4,7 miliardi di euro messi in bilancio dallo Stato fino al 2022 per i nuovi impianti per la produzione di biometano e biocarburi da rifiuti. Un incentivo che mira a sostenere i maggiori costi nella produzione di biocarburanti, rendendoli così competitivi con quelli dei combustibili fossili nel settore dei trasporti.

Legambiente, che ha lavorato sulla diffusione del progetto ISAAC per la rimozione delle barriere sociali riguardo a questa tecnologia, ricorda infine che la produzione del biometano può e deve avvenire nel rispetto della biodiversità e della funzione di stoccaggio del carbonio svolta da foreste e dai terreni coltivati e che il suo consumo avviene quasi senza ulteriori emissioni climalteranti. Chimicamente uguale al metano fossile (o gas naturale) è utilizzabile in miscela o in sostituzione del gas e può quindi essere distribuito nei metanodotti e in città. Numeri non da poco se si considera che al 2030 il 27% del consumo finale lordo di energia dovrà essere prodotto da fonti rinnovabili; al contempo, le emissioni di CO2 dovranno ridursi del 40% entro il medesimo orizzonte temporale e dell’80% entro il 2050 rispetto ai valori registrati nel 1990. Lo stesso vale per il settore trasporti che entro il 2020 dovrà coprire il 10% del fabbisogno energetico attraverso fonti rinnovabili.

cs