JETHRO TULL – I folletti del Folk Rock pt. 2

Di Max Salari

In questo periodo storico, la piena ondata Progressive anni ’70 coinvolge pure i Jethro Tull, una maggiore impronta Rock ruba spazio al Blues e le composizioni si articolano maggiormente. C’è bisogno di emergere dalla media musicale che affolla le chart, proporre qualcosa di nuovo, forte e qualitativamente valido. Ed è la volta di uno dei dischi più importanti della storia musicale, quell”Aqualung’ (Chrysalis-1971) che ancora oggi ascoltiamo con grandissimo piacere. In copertina si trova lo stupendo dipinto con il barbone più famoso del mondo! questa volta i testi sono molto forti, al limite del dissacrante. ‘Cross Eyed Mary’ (rifatta pure dagli Iron Maiden!) e ‘Locomotive Breath’ furono grandi momenti, ma la religiosa ‘My God’ con quell’assolo di flauto da paura la fa da padrona. Pure oggi durante le esibizioni live i Jethro Tull sono costretti a riproporla. Ma cosa dicono i testi di così dissacrante? ecco: “Gente, che avete fatto/ lo avete rinchiuso nella sua gabbia dorata/ Lo avete piegato alla vostra religione/ Lui, resuscitato dalla tomba/ E’ il Dio di nulla, se questo è tutto ciò che riuscite a vedere/ Tu sei il Dio di ogni cosa/ E’ dentro di voi e dentro di me/ Dunque, accostatevi a lui gentilmente e non rivolgetevi a Lui perché vi salvi/ Dai vostri piaceri pubblici e dai peccati che siete soliti rinnovare/ La Chiesa D’Inghilterra lorda di sangue, nelle catene della Storia/ richiede la vostra gentile presenza al vicariato, per il tè/ E’ l’immagine scolpita, sapete di chi/ con il Suo crocefisso di plastica ci si è trovato inchiodato confonde sul chi, il dove e il perché e su come sia liquidato/ Confessando il peccato eterno, risuona l’eterno piagnucolio/ Pregherai fino al giovedì prossimo tutti gli dei che riesci a contare”. Ma non è l’unico brano a parlare di religione, un altro è “Hymn’43”: “O padre alto nei cieli/ Sorridi giù a tuo figlio, che è impegnato nei traffici di denaro, con le sue donne e il suo fucile/ Oh Gesù salvami!/ E l’oscuro eroe western ha ucciso un indiano o forse tre/ e poi si è fatto un nome a Hollywood per liberare i bianchi/ Oh Gesù salvami/ Se Gesù salva, bene, farebbe bene a salvare sé stesso/ dagli insanguinati cacciatori di gloria, che usano il suo nome in punto di morte/ Oh Gesù salvami/ Si, L’ho visto in città e sui monti della luna/ La Sua croce era piuttosto insanguinata, poteva a stento far rotolare la Sua pietra (sepolcrale)/ Oh Gesù salvami!” La classifica? Numero 4 in UK e numero 7 in USA.

“My God” : https://www.youtube.com/watch?v=-Kmq9uM4Mq0

A questo punto è duro trovare un successore adatto a cotanto capolavoro, ma i nostri hanno un altro colpo di genio, una nuova soluzione, un mastodontico concept composto da una sola canzone di ben 40 minuti, ‘Thick as a brick’ (Chrysalis- 1972). Lo humour inglese alla Monty Python’s tanto di moda in tv allora, si può intravedere persino nella curiosa copertina rappresentante un quotidiano, oltrechè dalle composizioni liriche. Ma perché abbandonare la strada del successo sicuro, garantito dai brani di media durata, per una scommessa come questa puntata ad un unico brano? Ma perché Anderson questa volta, dopo la religione, la deve cantare lungamente a tutta la società perbenista e bacchettona ed al mondo politico. Lo fa con grande cinismo e sfrontatezza tanto da considerare “Thick As A Brick” uno dei testi più importanti di tutta la storia musicale inglese! Una occhiata alla formazione di quell’anno: Martin Barre, Ian Anderson, Jeffrey Hammond, John Evans e Barriemore Barlow, praticamente la vecchia John Evan Band. Con il tempo il successo si trasferisce dall’Inghilterra all’America ed ecco che è primo in USA e quinto in UK. I Jethro Tull sono ora un bene mondiale. Sempre nel 1972 all’insegna del battere il ferro quando è caldo, è la volta della raccolta di brani ‘Living in the past’ (Chrysalis-1972), insieme di lavori precedenti rimasti non editi, alcuni classici e versioni live. Esce perfino in una lussuosissima versione ” cartapaglia” in edizione limitata per la gioia ed i dolori economici dei collezionisti.

 “Thick As A Brick”: https://www.youtube.com/watch?v=rulfMI9iaVw

Questo comunque per Anderson e soci non è un periodo molto felice, infatti durante le registrazioni del successore di “Thick As A Brick”, nel castello francese Chateau D’Herouville accade veramente di tutto, dai problemi tecnici d’incisione sino addirittura ad uno spaventoso incendio, che brucia la totalità dei pezzi appena registrati. Qualcosa rimane in alcuni demo che comunque vedranno la luce nel doppio “Nightcap- The Unreleased Masters 1973-1991” (Chrysalis-1993). L’anno successivo i Jethro Tull compongono il lavoro Progressive per eccellenza (musicalmente parlando): ‘A Passion Play’ (Chrysalis-1973). Disco dalle liriche ambigue e dalle canzoni ipercervellotiche, manna per tutti gli amanti della ricerca sonora più “intellettuale”. A questi livelli Prog i nostri non torneranno mai più, per spingersi col tempo verso strade più immediate e popolari. Numero 1 in USA, numero 13 in UK.

Sempre allo Chateau D’Herouville, compongono ‘Skating Away On The Thin Ice Of The New Day’, canzone che troviamo nell’LP dell’anno successivo, ossia del 1974 dal titolo ‘War Child’ (Chrysalis-1974). Il singolo ‘Bungle In The Jungle’ tratto dal disco ha un grande riscontro in USA , piazzandosi al secondo posto delle charts. Con esso si ritorna alla semplice formula canzone, tralasciando le lunghe fughe strumentali che hanno caratterizzato il sound del gruppo negli ultimi periodi. Il disco non si può dire che sia pienamente riuscito, la vena di Anderson sembra prosciugarsi, o almeno tirare il fiato, ci avevano abituato molto bene sino ad ora…

Questo ”faticare” lo si può intuire ancora nel successivo lp, fra l’oscurità dei suoi solchi. Con una media di un lavoro all’anno si giunge stancamente al 1975 con ‘Minstrel In The Gallery’ (Chrysalis-1975), che segna pure la fine della collaborazione con Jeffrey Hammond, rimpiazzato dal bravo John Glascock (Jeffrey tornò a dedicarsi al suo hobbie preferito, la pittura.). Minstrel venne registrato nella “Maison Rouge Mobile Studio” di Montecarlo e la produzione viene affidata a David Palmer. Numero 20 in UK e numero 7 in USA. Da esso non scaturisce nessun classico, ma nell’insieme è nettamente superiore al precedente “War Child”. Ricordo comunque che la caratteristica principale del combo, oltre il famoso flauto, è la grande propensione all’ironia, fatta sempre dai nostri anche nei confronti di se stessi, nel loro invecchiarsi artisticamente , di prendere in giro la critica stessa. Questa fuoriesce anche dalle note del musical “Too Old To Rock’N’Roll Too Young To Die” (Chrysalys-1976). Una copertina che fa storia, apribile, con tanto di narrazione a fumetti dei testi al suo interno. Da questo lavoro si estrae oltre che il singolo omonimo, anche un video clip che in quel tempo fa il giro degli appositi contenitori video-musicali. Ancora si ha la collaborazione e l’orchestrazione da parte di David Palmer. Numero 14 in USA e numero 25 in UK. Ma c’è bisogno di una nuova svolta, sembra che la navicella Tull stenti a decollare dopo i fasti dei primi anni ’70. E come non darla se non ritornando alla vecchia vena Folk miscelata saggiamente con le nuove sonorità di questo periodo? La mossa risulta veramente indovinata se consideriamo poi che il Progressive alla fine degli anni ’70 tende a scomparire. Ottime ballate acustiche ci accolgono dunque in “Song From The Wood” (Chrysalis-1977). “Whistler” e “Cup Of Wonder”, sono due veri capolavori del genere. Tutti i brani sono più ariosi e spensierati, la produzione sonora è migliorata e David Palmer entra in pianta stabile (almeno per qualche anno) nella line-up. Stupenda la corale “Song From The Wood” e sa anche rendersi aggressiva con il flauto di Ian. Altro grande pezzo Rock è “Pibroch (Cap In Hand)”, con la chitarra di Barre in evidenza. Veramente un ottimo disco che si lascia ascoltare anche oggi nel nuovo millennio in tutta la sua fresca vena compositiva.

“Song From The Wood”: https://www.youtube.com/watch?v=c3Xlmh0lvK0&list=PLDBDDF67784F70864

La strada intrapresa sembra quella giusta, ne è convinto Ian, così perché rischiare? Nasce “Heavy Horses” (Chrysalys-1978) che ricalca il suo predecessore evidenziando ancora, se ce ne fosse stato il bisogno, l’amore del gruppo nei confronti della vita rurale. La copertina è di nuovo bucolica e ritrae Anderson fra due bei cavalli. La giusta vena sembra ritrovata, comporre un disco l’anno e mantenerlo su certi livelli, credetemi, non è cosa assolutamente facile. Numero 19 in USA e numero 20 in UK. Una canzone su tutte è “Lullaby”, proprio quella che poi apre il famoso disco successivo dal vivo dal titolo “Live Bursting Out” (Chrysalis-1978). In esso, oltre i più bei classici magistralmente eseguiti, si denota un grandissimo affiatamento raggiunto fra i componenti. Il suono è molto Rock ed è un classico di tutti i tempi. Chi vuole entrare per la prima volta nel mondo Jethro Tull deve smettere di leggere queste righe ed andare immediatamente a comprarlo.

“Stormwatch” (Chrysalis-1979), nuovo disco in studio e di nuovo un buon album, soprattutto nella strumentale “Elegy”, uno dei momenti più alti dell’intera carriera dei Tull. Questo lavoro conclude un trittico di anni ispirati al Folk veramente buono. Nel suo interno si può ascoltare anche un ritorno alle suites con “Dark Ages” e “Flying Dutchman”. Per anni non ascolteremo più i nostri a questi livelli. Il 1980 con il suo suono di plastica e l’esasperato bisogno di canzonette da classifica passa devastando come un ciclone su di una città facendo danni quasi irreversibili. Pochi grandi complessi di allora riescono a salvarsi da questa situazione, adeguandosi pur mantenendo sempre una degna personalità (Pink Floyd, Genesis e Yes), per il resto quasi il nulla. Purtroppo però non sono tutte rose e fiori, a seguito di una grave malattia nel 1979 viene a mancare il bassista J. Glascock ed il suo posto viene rimpiazzato dall’ex FAIRPORT CONVENTION (altro gruppo Folk famoso di questi anni), Dave Pegg. Alle tastiere subentra l’ex Roxy Music, UK e Curved Air Eddie Jobson, la tecnica a sua disposizione però porta pure molta freddezza. Ma ovviamente la colpa di questa sterzata stilistica, volta ad una scialba elettronica, non è dovuta solo a lui, è chiaro che Anderson cerca in tutti i modi di rimanere al passo dei tempi ed “A” (Chrysalis-1980) è il sunto di tutto questo. Alcune canzoni come “The Pine Marten’s Jig”, “Black Sundey” ed “And Further On” si lasciano ascoltare molto bene, salvando un lp che per il resto non ha nulla da dire. Bisogna dunque muoversi molto attentamente nell’immenso catalogo discografico dei nostri, perché chi ha apprezzato i primi lavori o quelli di fine anni ’70 rimarrà sicuramente incredulo all’ascolto di queste tracce. Numero 25 in UK e numero 30 in USA.

“Stormwatch”: https://www.youtube.com/watch?v=Pt-2K16ylWA

Si migliora con “The Broadsword And The Beast” (Chrysalis –1982) e forse anche per la dipartita di Jobson e l’ingresso di Peter-John Vettese, anche se non siamo di fronte ad un capolavoro, ma ad un onesto disco di buon Rock. Atmosfere epiche, storie di mare che vengono narrate dal magico folletto del flauto, ma anche in questo caso oltre una marcata vena elettronica non possiamo fare a meno di notare un drastico calo dell’uso del flauto. Tutte le canzoni si mantengono allo stesso livello e sono piuttosto commerciali, da segnalare “Beastie”, “Clasp”, Flying Colours”, “Broadsword” e la dolce “Slow Marchino Band”. La produzione è ottima , ma si comincia ad intuire che i veri Jethro Tull forse non torneranno mai più.

“Broadsword “: https://www.youtube.com/watch?v=md6xn-xaGjM&list=PLAWIJOJx7-m8ShR4KFJ6VZt40Fr5hWbW4

 Si peggiora inesorabilmente con il suono freddo e scialbo di Vettese oltre che delle batterie elettroniche, due anni dopo con il disco più brutto mai prodotto: “Under Wraps” (Chrysalis-1984), questo lavoro potrebbe averlo scritto chiunque, anche i Depeche Mode meno ispirati, i fans ora sperano che il gruppo si sciolga piuttosto che ascoltare altre amenità del genere. Come se non bastasse Anderson rincara la dose dando vita, poco prima, al suo primo disco solista “Walk Into Light” (Chrysalis-1983) un album di una bruttezza aberrante (secondo chi scrive). Ovviamente le vendite calano ed i nostri sono costretti a dare nuova linfa al sound, serve una lunga pausa riflessiva. La prima mossa è cacciare Vettese ed il suo suono di plastica per ritornare verso sonorità Hard Rock. Concepito nella casa del bassista Dave Pegg “Crest Of A Knave” (Chrysalis-1987) riesce a miscelare brillantemente tutte le caratteristiche principali dei Tull, un mix di rock, metal e folk che oltre strappare consensi, si porta a casa pure il Grammy Award per la categoria metal strappandolo agli “attapirati” METALLICA. Non si può restare indifferenti davanti a brani come “Budapest”, “Farm On The Freeway” o la dolce “Said She Was A Dancer”, un grande sospiro di sollievo da parte dei fans all’ascolto del flauto che ritorna più incisivo e delle chitarre taglienti come non mai di Barre. Riff spietati, sembra di trovarci davanti ad una nuova giovinezza, e questo lo si denota pure durante gli spaventosi Live che ne seguono. L’ironia ritorna a farsi presente, anche nella data di Milano i Tull si presentano sul palco come dei vecchietti con tanto di strumenti che vanno a carbone ,quando le tastiere cominciano a stonare (ovviamente per scherzo) le ricaricano con abbondanti palate di carbone! Molti i classici presentati ed anche il sottoscritto ha avuto la fortuna di assistere ad uno spettacolo impressionante da parte di questi vecchietti che elargiscono lezioni alla stragrande maggioranza dei gruppi del periodo. Numero 19 in UK e 33 in USA.

“Crest Of A Knave” (Steel Monkey) : https://www.youtube.com/watch?v=MjygHyVM28g&list=PL8a8cutYP7frEsW3WGxJTTdvPpzmPc5E4

 

Sembrano ora lontani i tempi di “A”, ed è la volta del mastodontico raccoltone ’20 Years Of J.T.’ del 1988. 5 LP che racchiudono tutta la loro storia, dalle rarità radiofoniche alle sigle di programmi televisivi, dalle b-side agli EP più rari, compresa la rarissima ‘Aeroplane’. Imperdibile per i fans e per la rabbia dei collezionisti più assidui che si vedono in un attimo sfumare il vanto di avere tutti i loro cimeli ottenuti con inenarrabili sacrifici e non solo economici. Nella versione CD però non ci troviamo tutto il ben di Dio presente nel cofanetto vinilico.

Settembre 1989, neanche il tempo di smaltire la sbornia del multiplo, i nostri escono con un nuovo lavoro dal titolo “Rock Island” (Chrysalis-1989). Onesto disco di buon rock anche se non è nulla di trascendentale. Ma in effetti nessun disco da qui a venire, racchiuderà in se un vero e proprio classico, la qualità sembra essersi stabilizzata, ma senza grandi picchi compositivi. Così vale pure per “Catfish Rising” (Chrysalis-1991). Ma i fans devono tirare fuori dal portafogli molti soldi, perché Anderson e soci producono diversi Live, “Live At The Hammersmith 1984” (Raw Fruit-1992) ed il bellissimo unplugged “A Little Light Music” (Chrysalis – 1992) dove i Jethro Tull in questo ambiente acustico sembrano trovarsi perfettamente a loro agio. Classici, cover, veramente molte sorprese in questo disco che ovviamente non deve assolutamente mancare da nessuna discografia degna di questo nome.

Anderson trascorre felicemente i giorni della sua vita nel suo immenso ranch, godendo a pieno della vita bucolica e aspettando l’ispirazione giusta per il nuovo disco da proporre. Nel 1995 è la volta di “Roots To Branches” (Chrysalis-1995), altro disco di buona qualità che non fa gridare al miracolo, ma oramai abbiamo capito, lo standard qualitativo è questo, non ci si può aspettare di più, ma neanche di meno. Nello stesso anno ancora un disco dal vivo, “In Concert” (Windsong-1995). Fresco ed ovviamente colmo di classici sbattuti in faccia all’estasiato pubblico incredulo della vivacità del gruppo, malgrado l’avanzata età dei componenti. Il Rock a certi livelli fa assolutamente bene…

Il tempo passa, è il caso di progredire, ma non nello stile visto che abbiamo detto che la formula è giusta, ma almeno nei testi. Si trattano argomenti mediatici nel nuovo “Dot.Com” (Roadrunner-1999), ottimo modo per salutare il nuovo millennio.

Ancora un live per il dolore del nostro conto in banca, “Living With The Past” (Varese Records-2002), e pure versione dvd. Ian è più in forma che mai, così come il fido Martin Barre. Delizia per le orecchie.

Oggi oltre che godere di altri lavori solistici di Barre e di Anderson, possiamo ascoltare il nuovo “The Jethro Tull Christmas Album” (2003). Nulla di nuovo nel versante, ma a questo punto non lo pretendiamo più, così li amiamo, acustici, folk, duri, jazzati, come piace a loro, non ci resta che ascoltare ancora la lezione di questi immensi artisti. Sono o non sono i Jethro Tull?

Prima di chiudere questo veloce speciale, vorrei ricordare alcuni fra i bootleg più interessanti:

FLUTE CAKE – registrato durante il concerto in Anaheim, Convention Centre1972

REASON FOR WAITING – Uscito pure come ‘My God’ con canzoni storiche datate 1971 anche se molte di queste le possiamo trovare nella raccolta “legale” ’20 years of J.T.’

RETROROC – Con tutto ‘A passion play’ e quasi tutto ‘Thick as a brick’, dal vivo ovviamente…

SONGS FOR JEFFREY – Concerto del 1969 registrato a Stoccolma

Ed ora ricordiamo le raccolte uscite durante la loro carriera:

“M.U.The Best Of Jethro Tull” (Crysalis-1976)

“Repeat: The Best Of Jethro Tull Vol.2” (Chrysalis-1977)

“Original Masters” (Chrysalis-1985)

“Twenty Years Of Jethro Tull” (Chrysalis-1988)

“25Th Anniversary Boxed Set” (Chrysalis-1993)

“The Anniversary Collection” (Chrysalis-1993)

“Nightcap-The Unreleased Masters 1973-1991” (Chrysalis-1993)

“Through The Years” (EMI-1997)

“The Very Best Of Jethro Tull” (Chrysalis-2001).

Vi salutiamo con una chicca, lo sapevate che nei primi anni ‘70 alla chitarra ha suonato pure, per un breve periodo, un certo Tony Iommi (Black Sabbath)?

Per concludere questa puntata di ROCK & WORDS vi lasciamo con una band Metal dalle idee che hanno fatto storia a se. Da Seattle i QUEENSRYCHE del grande Geoff Tate alla voce…e che voce! Buon ascolto e per chi non li conoscesse, buona scoperta!

 

“Eyes Of A Strange”: https://www.youtube.com/watch?v=A4duZjxusGM

“Silent Lucidity”: https://www.youtube.com/watch?v=jhat-xUQ6dw

“Queen Of The Reich”: https://www.youtube.com/watch?v=P_WUaMci6qo

“I Dream In Infrared”: https://www.youtube.com/watch?v=DNIHiTiryMY

“No Sanctuary”: https://www.youtube.com/watch?v=9QNjKkLeehw

 

 

ROCK & WORDS sono Fabio Bianchi e Massimo “Max” Salari. Insieme raccontano la storia della musica Rock e dintorni, l’evoluzione e come nascono i generi musicali, tutto questo in conferenze supportate da audio e video . Assieme sono nel direttivo dell’associazione Fabriano Pro Musica.

FABIO BIANCHI: Musicista, suona batteria e tromba. Ha militato in diverse band fra le quali i Skyline di Fabriano e l’orchestra Concordia.

MASSIMO “Max” SALARI: Storico e critico musicale, ha scritto e scrive in riviste musicali di settore e webzine come Rock Hard, Flash Magazine, Andromeda, Rock Impressions, Musica Follia, Flash Forwards ed è gestore del Blog NONSOLO PROGROCK. Per sei anni è stato vicepresidente di PROGAWARDS, premio mondiale per band di settore Rock Progressivo e sperimentale.

PER CONTATTI: rockandwordshistory@gmail.it

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