“HASTA LA LISTA”: VIP, FIORELLINI E PARTITI MIGNON. SOLO NON SI VEDONO I DUE LIOCORNI

Volli, sempre volli, fortissimamente volli (la par candicio): ultime settimane di petardi elettorali, poi a febbraio anche il “Fegatello” finirà in quarantena e virerà su Sanremo, castagnole, spunti carnevaleschi, premi Oscar e tutto ciò che riguarda il mese più breve dell’anno extra-tramestio politico. Intanto, difficile non farsi venire vorticose cefalee coi primi capitoli del romanzone elettorale. Se sette giorni fa eravamo qui a fare “humor” sulla diversamente gagliarda gara a chi orina più lontano su promesse e frasi spot, questa settimana ci addentriamo (cercando di rimanere seri, ma non garantiamo nulla) nella selva di mangrovie dei mille partitini, delle candidature bizzarre e delle sestiglie di vippetti e starlette che, almeno a proclami, intendono presentarsi sul ring già affollatissimo del 4 marzo.

Se a sinistra si piange e in casa grillina si fiotta, anche nel favorito centrodestra non ci si sganascia dalle risate. Berlusconi e Salvini sembrano Vianello e la Mondaini (manca solo il “che barba che noia”): a mezzo stampa o nei sofà televisivi è tutto un bisticcio. Dalla legge Fornero ai tempi di cottura della cassoela, non vanno d’accordo su nulla. Uno dice di voler riaprire le case chiuse, l’altro dice no. Uno ammicca all’Ue, l’altro borbotta. Uno va contro i vaccini, all’altro vengono coliche renali. Uno dice Beatles, l’altro grida Rolling Stones. Uno strilla panettone, l’altro ribatte pandoro, e così via. Poi nella mattina in cui Silvione con timbro solenne e sguardo vitreo non esclude un ritorno a Palazzo Chigi, Salvini schiera come centravanti nella Lega Giulia Bongiorno. Sì, l’avvocatessa già di Andreotti e di Sollecito da sempre incarognita in una lotta senza quartiere allo stalking. Ed ex pupilla di quel Fini insieme al quale, nel 2011, lavorò per disarcionare il Cavaliere, allora auriga del Belpaese. Una riciclata? Macché, non per Salvini, che anzi preannuncia altri talent tra i ranghi del Carroccio. Avvocato per avvocato, Silvione risponderà con Licia Polizio, legale di Francesca Pascale (e di Dudù). Sempre che in zona Cesarini non vengano infilati in lista cantori di partito come Alessandro Sallusti o compagni veri e propri di merende vedi Adriano Galliani: ad ora difficile, ma non impossibile. In mezzo agli “specchio riflesso” e ai “tana pe’ me” tra i due big, la terza non incomoda Giorgia Meloni nuota silente sul fondale a mo’ di carpa. E rispolvera uno dei Fratelloni d’Italia della prima ora: “Big Drive” Crosetto.

E arriviamo al famigerato quarto petalo. “Noi con l’Italia” è come il minestrone “fantasia” della Orogel: c’è di tutto dentro. Democristiani, liberali, ex leghisti, ex montiani, ex dorotei, ciellini, camaldolesi, cappuccini, neoliberisti, neolibertini, fruttariani, vegani, respiriani, rastafariani e Fitto (quello che ha più voti e perciò fa il capetto). In un primo momento nella zuppa del casale erano dati per certi anche vippetti quali Claudio Lotito coi suoi latinismi, Paola Ferrari coi suoi fondotinta e il “Viperetta” Massimo Ferrero coi suoi deliri. Poi però s’è capito che forse il mix di sapori è esagerato anche per palati grevi come quelli degli ex Dc. E che i posti sicuri messi sul piatto dal Berlusca in realtà sono 13 a fronte dei 30 richiesti. Già, perché Salvini continua ad averli in simpatia all’incirca come un drappello di clandestini siriani. E non perde occasione per bullizzarli e per sventolare a reti unificate la bambola vodoo dell’ex sodale di partito Flavio Tosi. Non è chiaro se il centrodestra avrà un quinto petalo: c’è anche “Energie per l’Italia” di Parisi. Che ha come  uomini di punta Stefano e… Parisi: una volta fuori dalla circonvallazione interna di Milano prenderebbe più voti Igor il russo.

Veniamo però ai 5 Stelle, alle prese con Parlamentarie a metà tra il gioco di ruolo stile Dungeons and Dragons e selezioni estenuanti per un posto da portinaio alla mutua. Nell’attesa che i cervelloni spengano e riaccendano il server di Rousseau, ingolfatosi 628 volte in due giorni come una Seat Marbella a benzina rossa, anche loro esibiscono i nuovi “famosi” imbarcati per la tenzone elettorale. Prima Emilio Carelli dalla Gruber, colto da pinguedine avanzata ed elettrizzante come un bicchiere di tisana Kelemata, e Gianluigi Paragone da Formigli, al solito garibaldino e bravo a slalomeggiare di fronte alle obiezioni sul suo passato da menestrello leghista (diresse “La Padania”). Fatto fuori Marione, ritiratasi la iena Giarrusso, l’altro esotismo in casa grillina si chiama Gregorio De Falco, il capitano di fregata che cazziò Schettino nella terribile notte in cui la Costa Concordia s’accasciò al Giglio. Chissà, magari Di Maio gli avrà detto “Salga a bordo, cazzo!”. Ma non è dato sapersi.

In casa Pd, invece, è in corso il gioco della sedia: dei 379 parlamentari rimasti sul vascello renziano tra una scissione e l’altra, avranno di nuovo una “cadrega” sì e no la metà di essi. Così i vari Guerini, Martina e Orfini, che hanno in mano le mappette coi collegi e i relativi nomi affrancati, sono costretti a darsi alla macchia come gangsters con l’Interpol alle calcagna. La carenza di sgabelli da offrire ha costretto Renzi a sforbiciare anche l’elenco dei “papi stranieri” e dei vippettini, oltreché a ringraziare le varie Bindi e Finocchiaro che con i Chiti e gli Ichino si toglieranno dagli zebedei. Al momento disco verde solo per la pasionaria dei pensionati Carla Cantone, nemica giurata in Cgil della Camusso, e per Paolo Siani, medico campano fratello del Giancarlo giornalista ucciso dalla camorra oltre trent’anni fa. Di altre figure “glamour”, al momento, neanche l’ombra. In compenso, si spaccia per coalizione l’unione con alcuni rigagli di partito. Come il petaloso “Civica Popolare”, che ha nella Lorenzin la sua madrina e che sfoggia uno stemma con una peonia disegnata da un bimbo (per la gioia dei 943mila grafici italiani) identica al fiore della Conad. Il tutto su uno sfondo abbagliante color cremisi (nella scheda sarà il cazzotto nell’occhio). Dietro a tanto young-stile, gente come Casini, Cicchitto e Dorina Bianchi, che in tre fanno già venti legislature: scuderia nuova, cavalli vecchi. Poi c’è “Insieme”, la lista ulivista con Verdi, Socialisti e Pisapiani disintossicati, che ha un simbolo speculare a quello del Pd (qui un grafico lo hanno assunto, ma dev’essergli venuta una brutta congiuntivite). Quindi c’è “+Europa”, la nuova utilitaria della Bonino graziata da Tabacci per le firme, che sta lì a metà del guado: la voglia di finire sotto lo stesso tetto di anti-abortisti e “no eutanasia” come la Lorenzin crea iperventilazioni multiple ai Radicali liberi.

Liberi e Uguali di vipponi esterni non ne avrà: quelli contattati da Grasso si sono dimessi da vip ancora prima di farsi mettere in lista. L’atollone rosso ha nel presidente del Senato uscente il leader, che però viene contraddetto ogni giorno dalla Boldrini, la quale viene sempre redarguita da Bersani, che viene smentito da Civati, che viene corretto da Fratoianni, che viene poi ri-corretto da Speranza, che infine viene preso per un orecchio da D’Alema (che alla fiera mio padre comprò). Insomma piove, ma son tutti felici perché potrebbe grandinare.

Il colore non finisce qui: la quantità di compagini che troverete sulla lista è assai più variegata delle coalizioni arci-note. Da destra a sinistra ogni giorno simboli e brand sbucano come asparagi nelle macchie appenniniche. Al grido di Eia Eia Alalà, ci sono Casapound da una parte e MSI+Forza Nuova dall’altra (che si sgambettano a vicenda per racimolare firme). Sei giorni fa a Roma è nato anche “Blocco Nazionale”, formazione di matrice monarchica nata sulle ceneri di “Italia Reale”. In soldoni, sono quelli che volevano riportare al Pantheon “Sciaboletta” (Vittorio Emanuele III di Savoia). Tra miagolii e cinguettii c’è poi il Partito Animalista della Brambilla, mentre non s’è capito cosa farà “Rinascimento” di Vittorio Sgarbi, troppo impegnato a sbraitare sui social o in qualche talk di seconda fascia. C’è anche il “Popolo della Famiglia” di Adinolfi, schifato persino da Povia, al quale Big-Mario aveva chiesto di entrare in partita, mentre è avvolta nel mistero la nascita di sigle no-vax o free-vax (ma potremmo ritrovarcene una decina avanti di questo passo). A sinistra, poi, la vera novità è “Potere al Popolo”, forza anticapitalistica nata da 120 assemblee oltre a qualche sparuto gruppo di punkabbestia dog friendly, che oltre alla leader Carofalo annovera vecchi guru della falce e del martello come Ferrero, Russo Spena e persino Franco Turigliatto, l’uomo che fece venire le piattole a Prodi dieci anni or sono (giusto l’altro giorno alla presentazione del marchio sgranocchiava un bambino). Naturalmente va da solo il misantropo Marco Rizzo col suo Partito Comunista. C’è poi Ingroia con “La mossa del cavallo”, ma siamo galantuomini e non andremo oltre.

Infine c’è il nostro mito, al centro come sempre: Denis Verdini con la sua ALA. Che adesso vuole unirsi col Partito Repubblicano. Solo non si vedono i due liocorni.

Valerio Mingarelli