LA LOGICA DEL GUERRIGLIERO

Un’amica mi ha ricordato sul social che il 5 ottobre è stata la giornata mondiale degli insegnanti, sempre l’amica in quell’occasione ha proposto un post con su scritto “l’insegnante ti prende per mano, ti apre la mente, ti tocca il cuore”. A me è venuto da ridere e non c’è bisogno di spiegare perché. Poi ho pensato che in fondo anche io sono un insegnante, per dire la mattina quando entro all’Itis, che è la mia scuola, conto sempre fino a dieci e mi ripeto come in un mantra “stai entrando a scuola stai entrando a scuola stai entrando…” La scuola, confesso, mi ossessiona, almeno da vent’anni e non posso dire che non faccia parte di me. Ho sempre cercato di tenerla lontana come una malattia contagiosa perché vedo il potere che ha sulle persone che la attraversano senza difese. Cerco anche di descrivere in qualche racconto questa riduzione totalitaria di colleghi e colleghe che girano attorno all’idolo e poi non parlano di altro, la loro vita si riduce al successo professionale, al gradimento del dirigente, al problematico rapporto con le famiglie e poi scompaiono come persone. C’è un burn out nel mondo della scuola che è quasi banale parlarne, per questo non mi preoccupo molto della mia qualità di insegnante efficace ed efficiente, ai colleghi giovani che mi chiedono consiglio dico sempre: “non ascoltare i diktat delle riforme, insegna quello che conosci e usa il buon senso”

Da sempre vado a scuola come un guerrigliero, mi manca solo la mimetica ma ho un racconto che parla di questo, di un prof a cui impediscono tutto, anche di fare le verifiche e finisce col presentarsi in aula vestito come un marine e armato di un coltello da caccia. Per anni nonostante fossi di ruolo mi sono trasferito da un istituto a un altro come un senza pace, mosso solo dalla volontà di non farmi catturare. Di cosa avevo paura? Semplice: di diventare come loro, come quei soggetti che mi sfioravano senza conoscermi, che soffrivano e che nonostante questo dovevano apparire contenti e soddisfatti. Mi hanno sempre fatto pena ed orrore, anche oggi è così. Tuttavia il guerrigliero, mi dico, colpisce e se ne va, nell’impatto e nella fuga è il suo segreto ma io ormai non posso più fuggire, ormai sono costretto a pensare come uno fisso, uno di quelli che non può più scappare

Oggi mi chiedo che cosa posso fare io in un mondo il cui sport preferito è delegittimare socialmente la figura del prof e indicare al contrario la logica della vocazione e del martirio a gente terrorizzata e demotivata. Intanto mi turo le orecchie poi decido che il mio ruolo è parlare delle cose che conosco e che amo: un libro, un racconto, un testo lirico, un evento storico, un’opera, a volte anche un quadro. Ma non solo con passione (la passione spesso è l’alibi dei coglioni) anche con una certa perizia tecnica. E’ lì che si dovrebbero scoprire le competenze. Alla fine quando suona la campanella del giudizio universale ho almeno la consapevolezza di non aver perso tempo. Cosa rimane allora? Bisognerebbe chiederlo all’utenza. Dare immaginazione, visioni, parole e concetti ai cittadini di domani non mi pare del tutto inutile. Se domani non avremo solo tranquilli esecutori ma uomini in grado di credere che il “futuro non è scritto” forse sarà stato anche colpa mia. Decideranno loro, io intanto, che non vedrò il paradiso in terra, decido di preparare le canne da pesca per la pensione

Alessandro Cartoni