ROBOT, DISOCCUPAZIONE E REDDITO DI CITTADINANZA

L’ultimo avvertimento viene da McKinsey: il 49% delle mansioni umane potrebbe essere sostituito da robot o macchine. Secondo una ricerca recentemente pubblicata dal colosso delle previsioni economiche, infatti, l’evoluzione della tecnologia metterà a rischio un insieme di compiti che spaziano dagli addetti alla tornitura ai traduttori.

Non solo mansioni poco qualificate a rischio, quindi: al contrario, i lavori a bassissima qualificazione, in particolare nei servizi, rimangono relativamente poco toccati dallo spiazzamento tecnologico della rivoluzione 4.0. Sono infatti mansioni pagate poco e già oggi molto precarie, per le quali non vale la pena investire in costosi sistemi e macchinari, se non come strumenti di controllo. E’ così, in questo intreccio tra ‘800 e Star Trek, che nasce e prolifica il sistema di logistica di Amazon, per esempio.

A destare grande preoccupazione, in un contesto segnato dal dibattito sulla scomparsa della classe media, è il fatto che le nuove applicazioni tecnologiche stiano spazzando via lavori qualificati ma ripetitivi, routinari: tutta quelle serie di mansioni di tipo amministrativo in cui i ceti medi occidentali hanno trovato occupazione dopo la Seconda Guerra Mondiale. Un esempio lampante è quello di Google Translate, un tempo giustamente oggetto di facili ironie per le sue sconclusionate traduzioni, ma che in pochi anni è riuscito a recuperare molto del suo svantaggio sulle traduzioni umane.

Il rapporto McKinsey fortunatamente precisa che solo il 5% delle mansioni potranno essere completamente robotizzate: non è quindi il caso di pensare a un esplodere della disoccupazione determinato da una pura e semplice sostituzione degli uomini con le macchine. Tuttavia, il 30% del 60% dei lavori sarà in qualche modo trasformato dall’introduzione di nuove tecnologie, che richiederanno una formazione adeguata per essere gestite.

 Si tratta di una sfida non da poco: non solo l’industria italiana è in ritardo sull’innovazione tecnologica (vedremo se il piano Industria 4.0 del ministro Calenda riuscirà a ridurre il gap), ma il nostro è anche uno dei Paesi che meno investono in formazione continua dei lavoratori. Già oggi in tutta Europa mancano diversi milioni di lavoratori qualificati per coprire alcuni dei posti di lavoro più avanzati: senza una decisa inversione di rotta la situazione non potrà che peggiorare.

In molti sostengono che la soluzione per una massiccia disoccupazione tecnologica possa essere un reddito di cittadinanza, ossia una elargizione monetaria fissa data a ciascun cittadino a prescindere dalla sua situazione economica: secondo intellettuali progressisti come Paul Mason si tratta di una misura di redistribuzione perfetta. La loro idea è che, partecipando a reti sociali di comunicazione e produzione (da Facebook a AirBnB a Uber a BlaBlaCar), ogni giorno ciascuno di noi contribuisca in maniera invisibile al profitto del capitale: il reddito di cittadinanza è un modo di riappropriarsi di questo “lavoro” invisibile che svolgeremmo.

Quello che dimenticano Mason e altri sostenitori del Reddito di Cittadinanza, come il Movimento 5 Stelle, è che viviamo tuttora in un regime di proprietà privata: dal momento che le grandi multinazionali tecnologiche fanno profitti miliardari dalle loro tecnologie per risparmiare lavoro, e si guardano bene dal pagare le tasse, è molto più probabile che un reddito di cittadinanza diventi la versione “povera” dello Stato Sociale: una mancia, pagata dallo Stato con le tasse sui redditi e non con le tasse sui profitti, con cui tenere buoni i disoccupati in cambio della rassegnazione alla disoccupazione e alla rinuncia a a molte altri servizi prima garantiti. E’ questa la visione del governo finlandese, conservatore, che sta lanciando una sperimentazione in merito.

Redistribuire il reddito non può prescindere da rapporti di forza favorevoli: in questa fase in cui il Lavoro è “solido”, legato a dimensioni fisiche che non cambiano facilmente, e il Capitale è “liquido”, il Reddito di Cittadinanza rischia di essere una trappola, quando invece quello che potrebbe servire sono investimenti importanti, nell’innovazione tecnologica, nelle competenze dei lavoratori, nelle infrastrutture fisiche e immateriali.

Manfredi Mangano