DONALD TRUMP, L’ITALIA E LE MARCHE

Donald Trump può aiutare l’economia italiana e quella delle Marche?

“The Donald” non si è ancora insediato come Presidente degli Stati Uniti d’America, e quindi non possiamo ancora valutare con certezza come le sue politiche impatteranno sull’economia italiana e marchigiana. Tra l’altro, Trump si è fin qui distinto per cambiare vorticosamente le sue posizioni, su un gran numero di materie: candidato di un partito che vuole smantellare la riforma sanitaria di Obama, ha detto che ne manterrà gli aspetti fondamentali; presentatosi come candidato anti-establishment, e votato per questo negli Stati operai come il Wisconsin e il Michigan, ha nominato una squadra di governo di imprenditori e amministratori delegati di multinazionali, e si è schierato contro l’aumento del salario minimo.

L’unica certezza sembra essere una svolta nettamente protezionista in materia di rapporti commerciali, con l’annuncio di una tassa del 35% sui profitti delle imprese che delocalizzano. Al netto di altre sorprese che il tycoon dal ciuffo sbarazzino potrebbe riservarci, possiamo però fare alcune previsioni, partendo da un’analisi della situazione.

Il primo dato da tenere presente è che quella USA è una economia tutt’altro che in difficoltà: a giugno, la disoccupazione era scesa fino al 4,9%, toccando un nuovo minimo dalla crisi del 2007-2008, con i salari medi in aumento del 2,5%. Il paradosso è che le previsioni erano anche più ottimistiche di così, ma si deve anche considerare che oramai l’economia americana è in piena occupazione (il 4-5% è normalmente considerato il livello “naturale” di disoccupazione, sotto il quale iniziano ad alzarsi i prezzi): non a caso, infatti, la Federal Reserve ha deciso di aumentare i tassi di interesse, per tenere sotto controllo l’inflazione.

Anche dal punto di vista commerciale, la situazione americana è in miglioramento: la bilancia commerciale su base mensile sta diminuendo il suo deficit da agosto, segno che le imprese americane sono più competitive. Anche a livello energetico, la strategia di Obama ha permesso agli USA di tornare per la prima volta da 50 anni autosufficienti e, in prospettiva esportatori di energia: una situazione che probabilmente si rafforzerà, visto le promesse di Trump di incrementare la produzione di carbone e di petrolio, e contribuirà a mantenere bassi i prezzi dell’energia, anche grazie a una riduzione delle speculazioni finanziarie nel settore.

A essere abbastanza convinto degli effetti benefici della “Trumponomics” sull’Europa e sul nostro Paese è Daniel Gros, punto di riferimento del CEPS, uno dei principali centri studi sull’Europa: Gros, che è anche membro del Comitato Scientifico della Fondazione Aristide Merloni, ritiene che i tassi più alti non impatteranno in maniera negativa sui debiti pubblici dei Paesi deboli. Al contrario, un aumento del costo del denaro renderà meno sconveniente per i tedeschi tenere in piedi l’Euro e farà salire il valore del dollaro rispetto all’Euro, aiutando il nostro export: una spinta ulteriore alla nostra economia sarebbe data dai tagli alle tasse e dalle nuove infrastrutture promesse da Trump.

L’economia americana, come dicevamo in precedenza, è in piena occupazione e a breve termine potrebbe non riuscire a star dietro alla nuova richiesta di beni e servizi spinta dal governo: una buona notizia anche per l’economia marchigiana, che secondo le analisi, dirige verso gli USA circa il 6% del suo export, con una prevalenza di macchinari e alta tecnologia.

A rimanere in sospeso, però, è il versante della politica commerciale: queste opportunità potrebbero sparire se Trump decidesse di mettere nuovi dazi sulle produzioni meccaniche e tecnologiche o sulla moda, settori già molto protetti e in cui la nostra regione eccelle. In questo caso, per la nostra fragile ripresa potrebbero essere dolori.

Manfredi Mangano