CARTIERE FEDRIGONI, IL FUTURO E’ BENETTON?

Sembra oramai certo che, dopo una lunga trattativa, le Cartiere Fedrigoni, e con loro anche le nostre Cartiere Miliani, passeranno dalle mani della famiglia veronese a quelle di una cordata composta da Edizione Holding della famiglia Benetton e da InvestImpresa di Andrea Bonomi.

In un articolo di ieri, Gian Pietro Simonetti invitava giustamente la città a non sottovalutare la questione: Benetton e Bonomi sono stati protagonisti di molte delle avventure finanziarie degli ultimi anni, e sulla famiglia Benetton in particolare pesa l’immagine di gestori-speculatori delle Autostrade, ruolo in cui non hanno proprio dato buona prova di sé. Il rischio di uno “spezzatino”, o della vendita immediata ad altre mani, magari ad uno degli agguerriti competitor internazionali di Fedrigoni, non va ignorato, così come la necessità di tutelare i lavoratori delle cartiere.

Va però riconosciuto ad Andrea Bonomi di non essere mai stato protagonista, negli ultimi anni, di pure e semplici speculazioni sulla pelle di imprese e lavoratori: dal rilancio del polo veneto del lusso al risanamento della Ducati prima della vendita ad Audi, Bonomi ha sempre privilegiato la valorizzazione delle aziende in cui investiva. Benetton, a sua volta, sta inoltre dismettendo diverse operazioni di “rendita”, come i duty free svizzeri, per tornare a orientarsi sul panorama industriale.

La Fedrigoni, del resto, rappresenta sicuramente un pezzo pregiato del capitalismo italiano: con 950 milioni di fatturato (previsto in crescita a 1,1 miliardi), 120 di EBIT e 60 di utile netto, parliamo di una azienda, sana, dinamica e in espansione, con sbarchi recenti negli Stati Uniti e in Brasile.

Dal punto di vista occupazionale, le garanzie previste dagli articoli 2558 e 2112 del Codice Civile tutelano gran parte dei dipendenti: a rischio potrebbero essere gli assunti da Jobs Act e i contratti a termine, ma la buona salute e l’eccellenza produttiva di cui godono le cartiere non lascia presagire disastri, su questo versante.

La scelta di Alessandro Fedrigoni e di Claudio Alfonsi, il capace AD del gruppo, fa seguito all’impossibilità di garantire un ricambio generazionale in azienda, dopo offerte sfumate per una eccessiva enfasi su debiti finanziari e l’impossibilità di collocarsi in borsa come public company, la soluzione forse più moderna.

Un tema questo, delicatissimo per il nostro capitalismo fatto prevalentemente di imprese familiari, e che conferma l’urgenza da un lato di accelerare su nuovi meccanismi di governo delle imprese, più aperti e in grado di trasferire cambiamento e resistere agli imprevisti, e dall’altro di tornare a investire con forza sulla formazione per imprenditori, trascurata nel nostro Paese a favore di percorsi mirati ai quadri aziendali o ai manager, come riporta il Rapporto sull’Imprenditorialità 2016 della Fondazione Merloni.

Quella di Fedrigoni, un industriale sempre molto attento alla continuità del gruppo e alla sua espansione, non sembra comunque una scelta “di rinuncia”, fatta solo per incassare: a Bonomi e Benetton sono state chieste precise garanzie sull’espansione internazionale del gruppo e su una progettualità a medio termine, in un settore che dopo lunga crisi si sta consolidando attorno a pochi grandi gruppi, con una forte competizione.

E’ bene che la comunità vigili con attenzione su quello che accadrà nei prossimi mesi in casa Fedrigoni: ma se Bonomi e Benetton si impegneranno sul serio, per il gruppo veronese-fabrianese potrebbe essere l’occasione di consolidare la sua forza.

Manfredi Mangano