I VOLONTARI TRA LE MACERIE DEL SISMA, A TU PER TU CON GABRIELE FAVA

Quarant’anni, infermiere in servizio al Pronto Soccorso dell’Ospedale Profili di Fabriano, Gabriele Fava è stato, subito dopo la prima forte scossa di terremoto del 24 agosto, nelle terre distrutte dal sisma del centro Italia come volontario del gruppo comunale della Protezione Civile assegnato alle operazioni di scavo tra le macerie.

Hai sentito la scossa delle 3,36 e ti sei subito messo in moto. Come è stato quel primo viaggio verso i luoghi terremotati?

Ci siamo attivati sotto il comando del nostro coordinatore Otello Bernacconi. Tutta la nostra struttura si è messa a disposizione degli uffici comunali ed abbiamo effettuato dei giri di controllo per la città. Abbiamo viaggiato in colonna con gli altri mezzi della Regione Marche e ci siamo messi a disposizione della Sala Operativa Integrata di Ascoli. Non sono nuovo a soccorsi nelle zone terremotate e durante il viaggio, il mio collega ed io, cercavamo di allontanare i nostri pensieri dalle scene drammatiche che ci venivano proposte alla TV e cercavamo di concentrarci sul nostro ruolo di soccorritori.

Cosa hai trovato e cosa ti ha fatto più indignare?

Abbiamo trovato devastazione pura. Sembrava che Arquata e Pescara del Tronto fossero state bombardate. Macerie ovunque, crepe nell’asfalto, frane e smottamenti. Una scena del genere non la vedevo da quando intervenimmo nelle zone terremotate del Pakistan nel 2005 (e in quel caso la magnitudo fu 7,6 quindi molto superiore). Non ho provato indignazione, ero addolorato per il continuo aumentare delle vittime rinvenute ed incredulo. Non mi rassegnavo al fatto che con tutta la tecnologia a nostra disposizione nel 2016, si potesse ancora morire sotto il crollo di un edificio. Non mi andava giù il fatto che intere famiglie fossero state cancellate proprio mentre riposavano in quel luogo che per tutti noi è simbolo di sicurezza, la nostra casa.

Quale insegnamento hai ricevuto da queste persone che hanno perso tutto?

Parlando con loro hai un senso di inadeguatezza. Cosa potrò mai dire a questa persona che non ha più una casa o a chi ha perso un figlio, un parente caro? A volte ci si scambiano solo degli sguardi, e in quello sguardo c’è tutto. Molti erano rassegnati, altri rabbiosi, certamente spaventati. Eppure, nonostante tutto, non ho sentito nessuno dire di voler scappare, di voler abbandonare quei posti… La speranza che tutto verrà ricostruito com’era è insita in ciascun abitante di Arquata.

La macchina dei soccorsi ha funzionato?

Si, la risposta è stata tempestiva con una mobilitazione di massa. Dovremmo essere orgogliosi dei soccorritori preparatissimi e professionali.

Marco Antonini