L’ALIBI DEL GIORNO DOPO: TU CHIAMALE SE VUOI, ASTENSIONI

Tutti insieme dai. “Astensiò! Giustificaziò! Ritmo e… vitalità!”: sull’arrangiamento della Banda Bardot, suona a ripetizione da 48 ore l’inno dell’arrampicata sugli specchi nel commento del voto amministrativo. Per scagionarsi da capitomboli, randellate e “Caporetto” elettorali, si fa leva sempre su di loro: gli astenuti. I quali, a sentire analisti e candidati usciti ammaccati come pere Williams cadute dall’albero, imperano e tiranneggiano. “Ha vinto il partito del non voto!” – grida con cupo mono-ciglio Alessandro Sallusti nel salotto pastellato di Floris. “Gli italiani non votano più!” – è la sentenza funeraria della vestale del renzismo Maria Teresa Meli nella cattedrale di Porta a Porta. La scarsa affluenza è la palla buttata in corner perfetta per sviare dai ceffoni delle urne. Eppure, per chi segue il palio verbale post-voto in tv, i commenti sull’astensione sono interessanti quanto guardare la vernice che si asciuga su un muro maestro, parliamoci chiaro, un italiano su quattro a votare non ci va mai. Se in Italia ci sono 10 milioni di bipedi che se ne strafottono (legittimamente) del calcio, prima storica fonte d’amplesso nel Belpaese (specie per i maschietti), ce ne sono altri 10 milioni che al solo udire la parola “politica” vengono colti da cheratiti e cefalee. Il 25% dei nostri compaesani il tramestio politico non lo seguono, non lo leggono e lo evitano come si fa coi ragazzi in pettorina che in piazza ti corrono dietro a chiederti una firma per la droga. Quindi non votano: oggi è più probabile un Adinolfi segretario generale dell’Onu che un 75-80% di italiani matita in mano a primavera. Barricarsi dietro lo spauracchio astensione, di fronte a tonfi elettorali palesi, ricorda un po’ i poveracci del Nicaragua che tirarono fuori l’ombrello al passaggio dell’uragano Mitch.

Una volta per tutte diciamocelo: quando non vince nessuno, chi è rimasto a casa viene tirato per la giacca davanti alla cinepresa. Perché (in termini assoluti) un vincitore non c’è e le scaramucce numeriche da bar Margherita di queste ore lo confermano. Ci sono segnali importanti, quelli sì. Hanno sbancato le donne, ad esempio: dalle due giovani turbo-grilline Raggi e Appendino alle principesse delle preferenze Gelmini (Milano) e Carfagna (Napoli), unici fiori non appassiti del vivaio berlusconiano. Fino a Giorgia Meloni, pasionaria col pancione che nella notte dell’Urbe ha alitato a lungo sul collo di Giachetti nella speranza di sballottarlo fuori dal ballottaggio. Inoltre, si può dire che ha vinto Mentana sui suoi telespettatori: lui è alla 71esima ora di diretta, loro sono albergati in un ospedale da campo a Villa Ada in preda a spasmi. Ma questo è un altro discorso: proviamo con una breve analisi.

WEST VIRGINIA, COUNTRY ROMA. C’è sangue dappertutto nella città eterna. Decine di traffichin-consiglieri municipali dal radioso passato di bomber dei collegi elettorali stanno cercando di assemblare un curriculum: dovranno lavorare per la prima volta in vita loro. La Raggi ha svuotato il Tevere con un mestolo, suonandole (e rosicchiando voti) a destra e a mancina. Ha ancora 15 giorni per mandare tutto a puttane: dopo la funivia a Boccea potrebbe sempre sbucare una seggiovia sull’Aventino. Evitare uscite da soap opera brasiliana (specie sul tema Olimpiadi) sarebbe indicato. Intanto, Ignazio Marino sta impennando in bici sul Raccordo Anulare dalla gioia: senza Silvio Tafazzi e il suo (geniale) appoggio al ducaconte ex “calce e martello” Alfio Marchini a quest’ora l’allegra brigata Renzi-Giachetti sarebbe fuori. Ogni volta che al Nazareno bollano il voto al M5S come “di protesta”, a Villa Borghese germogliano 101 nuovi grillini. Fassina, invece, dice che il suo 4% (e spiccioli) dimostra che la sinistra è viva (non è a fianco a lui, ma dentro di lui evidentemente): nel rosso municipio Garbatella-San Paolo, tanto per citarne uno, manca solo la gigantografia di Di Battista al Gazometro tanti sono i voti “sinistri” bruciati. Poi c’è Adinolfi: ha ringraziato tutti i suoi elettori su Twitter, e gli sono persino avanzati 17 caratteri.

SBAM-MATTEI. E’ stata una domenica complicata per Renzi e Salvini. Il primo non twitta da giorni: forse ha la batteria del telefono scarica. Dev’essere uscito convinto di avere il 40%, invece aveva sì e no il 19%. Dopo due anni di fanfare per il botto delle europee 2014, il tassametro dei voti “Dem” inceneriti corre. Il PD però, almeno nei comuni “mignon” (quelli che non trovi neppure su Wikipedia) continua a fare la voce grossa e incetta di fasce tricolori. Salvini, che in questa campagna elettorale ha superato Pippo Baudo come monte ore nella tv italiana (è terzo all-time, ora insegue Mike Bongiorno e naturalmente Chicco Mentana), è forse quello che a meno da ridere: la Lega è residuale pure in Val Camonica ormai (Bologna esclusa). L’opa sulla leadership del centrodestra è diventata in pochi mesi un’oca, insomma: meno slinguazzate a Trump e più idee non sarebbero malaccio. A Milano invece siamo al pari e patta tra i “gemelli diversi” Sala e Parisi. L’armata cinese coi suoi wanton fritti stavolta non ha aiutato Mr Expo: il suo avversario è tosto e guida in 5 municipi su 9. Solo una pandemia di felpe di Salvini in giro per la città può fermare la corsa dell’ex city manager di Albertini a Palazzo Marino (Ps: Maroni ha anestetizzato Salvini per fargli accettare la coalizione, altrimenti bye bye Lega meneghina). A Napoli il principe Luigi De Magistris II di Borbone ha spezzato le ali (o l’ALA, più propriamente) alla sgangherata piddina Valente: giochi fatti. Infine a Torino c’è Fassino-Appendino: non è un sillogismo, tranquilli. Slim-Piero è strafavorito, ma anche qui il M5S proverà a svuotare il Po. Sempre che non intervenga Grillo: ormai ogni volta che apre bocca i “five stars”perdono 3 punti percentuali. Comunque Di Maio per domenica prossima lo inviterà a chiudere la campagna della Appendino. A Isernia, però.

Valerio Mingarelli