25 ANNI FA LA VISITA DI GIOVANNI PAOLO II A CARTIERE E INDUSTRIE MERLONI

Una data storica: 19 marzo 1991. Papa Giovanni Paolo II, futuro Santo, visita la Diocesi di Fabriano-Matelica. Ripercorriamo quella giornata indimenticabile attraverso la sua omelia pronunciata nella Cattedrale di San Venanzio e i discorsi tenuti davanti ai dipendenti delle industrie Merloni, delle Cartiere Miliani e alle lavoratrici della ditta ‘Confezioni Matelica’. 25 anni dopo quelle parole sono ancora attuali e aiutano nella riflessione. Nel corso della solenne celebrazione eucaristica il Papa si è soffermato sul valore della famiglia e del lavoro, in concomitanza della festa di San Giuseppe. “Queste due importanti realtà umane mettono in evidenza la giusta gerarchia dei valori; sottolineano che il primato spetta all’uomo come persona e come comunità di persone: in primo luogo, quindi, la Famiglia. Ogni lavoro, e soprattutto il lavoro fisico, lega l’uomo al mondo delle cose, a tutto “l’ordine” delle cose. La cultura “progressista” – tranne i progetti che hanno l’uomo come autentico riferimento – diventa facilmente cultura delle cose più che delle persone. Sono tante le cose da poter fare, sono così insistenti i richiami della pubblicità e della propaganda, che si rischia di esserne travolti. Si finisce col diventare, pur non volendolo, schiavi delle cose e della bramosia dell’avere. Il cosiddetto consumismo – ha detto il Pontefice in Cattedrale – non rappresenta forse l’espressione dell’“ordine” (o, piuttosto, “non-ordine”), in cui ha più significato “avere” che “essere”? Non è forse sintomatico che su questa linea la cultura dominante si mostri talora ostile verso la vita nascente, quasi che quell’essere umano, che si affaccia all’esistenza, costituisca un ostacolo al possesso e all’uso delle cose? È grande il rischio di vedere offesa la stessa dignità della persona, insidiata nella sua autonomia e nella sua libertà più profonda. Non siate schiavi del possesso egoista, ma servitori della condivisione solidale! Voi giovani nutrite le speranze del vostro presente e del vostro avvenire alla scuola della verità che non inganna e della vita che non perisce”.

Il Papa ha visitato anche le Cartiere Miliani, ora Fedrigoni. Karol Wojtyla ha posto l’accento sul senso del lavoro e sull’importanza di creare un ambiente a misura d’uomo. “Il vostro è un lavoro delicato e poco noto alla maggior parte della gente: voi preparate la materia prima per la stampa. Si ammira e si apprezza il prodotto finito, ma non sempre si è in grado di riconoscere la pazienza necessaria alla sua confezione frutto sempre di una particolare abilità e di una esperienza artigianale consolidate nei secoli. Grazie alla carta, l’umanità ha avuto la possibilità di avere fra le mani uno strumento di comunicazione facile, il libro. Certamente la sua diffusione ha permesso l’allargarsi della cultura, ha contribuito a far crescere il benessere, e soprattutto ha inciso, e in modo non marginale, sui comportamenti e sulle scelte morali dell’uomo. Proprio per questa grande possibilità che riveste l’uso della carta stampata nel processo di formazione culturale ed etica degli individui e dei popoli, la vostra opera esige preparazione, competenza e responsabilità. Non dimenticatevi che un ambiente di lavoro sereno ed amichevole contribuisce a creare i presupposti per una convivenza civile più armoniosa: diventa un luogo di interessante confronto, di maturazione e una fucina di nuovi progetti. Se invece manca la comprensione e il dialogo, nascono contese e contrapposizioni, scaturiscono tensioni, incomprensioni e frustrazioni che inevitabilmente finiscono per incidere sulla vita familiare e comunitaria. Il luogo dove lavorate e dove trascorrete tanta parte della giornata, diventerà così la vostra seconda famiglia. Mentre parlo a voi, lavoratori, il mio pensiero corre ai tanti giovani, che non sempre riescono a trovare un impiego, e rischiano di cadere vittime d’ingannevoli miraggi. Occorre ridare fiducia al mondo giovanile! Occorre – ha concluso il papa – che la società faccia lo sforzo di inserire la gioventù che s ‘affaccia al lavoro nel tessuto attivo delle sue strutture, se si vuole che non cada nelle tentazioni della pericolosa evasione del qualunquismo e della devianza. Solo così si può preparare un futuro migliore per tutta la società”.

Attesa da tutti anche la visita di Giovanni Paolo II alle industrie Merloni. Sembra passato un secolo con le profonde trasformazioni che l’azienda fabrianese ha subìto nel corso degli anni, fino alla crisi che ha portato al crollo dell’occupazione nel comprensorio montano e l’arrivo del colosso del bianco Whirlpool. “La ‘condizione’ degli operai è notevolmente migliorata, almeno in quei Paesi che hanno potuto trarre beneficio da un promettente sviluppo tecnologico, accompagnato da legislazioni adeguate e da provvedimenti amministrativi opportuni, che hanno favorito la crescita di una cultura di considerazione e di rispetto per il lavoratore. Non vanno, però, dimenticati tanti altri lavoratori e lavoratrici, che, specialmente, nell’emisfero Sud del mondo, stentano ancora a vedere soddisfatte le loro più elementari esigenze e sono mortificati nella loro dignità di persone. Non vanno neppure dimenticati quanti, nelle nazioni cosiddette industrializzate, e anche qui in Italia, non godono appieno dei diritti spettanti a chi lavora. Mi riferisco, ad esempio, alle donne discriminate nel loro impiego, ai bambini sfruttati, ai giovani disoccupati, ai lavoratori in cassa integrazione, agli handicappati praticamente emarginati, agli immigrati non rispettati nelle loro legittime attese. Non sono essi vittime impotenti dell’egoismo e della sete sregolata del profitto o, quanto meno, dell’indifferenza e dell’incuria di chi si preoccupa solo del proprio benessere? Si tratta certamente di potenziare le capacità economiche e tecnologiche. Anzi, v’è un obbligo morale di provvedere ad una sana politica amministrativa di investimenti, di miglioramento nella qualità dei prodotti o dei servizi e di rinnovamento tecnologico. Ma v’è anche un concomitante obbligo morale di rispetto per l’ambiente circostante e di ragionevole utilizzo delle risorse naturali, soprattutto di quelle non rinnovabili. Solo in un’azienda concepita come comunità si è in grado di salvaguardare la vera dignità del lavoro e dei lavoratori. La capacità di lavoro di una persona non è merce che si vende e si acquista; è, al contrario, qualcosa di proprio, anzi di “sacro”, che Dio concede a ciascuno innanzitutto per realizzarsi come persona”.

Poi il trasferimento nello stabilimento Confezioni di Matelica dove Papa Wojtyla ha evidenziato il ruolo della donna nella società. “Cambiano i tempi, mutano i modi di organizzare la società e si accelerano i ritmi produttivi, ma devono restare immutabili la dignità e l’ordine dell’amore. La donna rappresenta “un valore particolare come persona umana e, nello stesso tempo, come quella persona concreta, per il fatto della sua femminilità”; la sua dignità “viene misurata dall’ordine dell’amore che è essenzialmente ordine di giustizia e di carità” (Mulieris dignitatem, 29). Quando in un’azienda le trasformazioni sono così rapide da non consentire un’adeguata preparazione al cambiamento da parte dei soggetti che vi operano, può succedere che le esigenze produttive prendano il sopravvento sulla considerazione delle persone. Vengono allora messi in crisi principi morali e riferimenti etici indispensabili alla tutela della persona e viene a diminuire il rispetto per la sua intangibile dignità. Non è probabilmente il caso della vostra fabbrica, dove si cerca di modulare i ritmi lavorativi sui vostri impegni di donne e di madri di famiglia, ma a nessuno sfugge anche oggi come esistano contesti occupazionali dove la donna è minacciata nella sua dignità. Occorre che essa recuperi il suo ruolo peculiare, sottraendosi al rischio di essere considerata quasi un oggetto di produzione. Il lavoro, quale personale partecipazione alla trasformazione della creazione e fonte di dignitoso sostentamento, non deve togliere alla donna, sposa e madre, la possibilità di compiere le funzioni sociali e familiari che le sono proprie, perché soltanto in questa maniera essa attua la sua vocazione umana anche sotto l’aspetto della femminilità. Un’occupazione che restringesse gli ambiti della donna e finisse per portarla fuori dal suo ruolo d’amore, impedendole una compiuta realizzazione di sé, priverebbe la comunità umana e cristiana di una protagonista indispensabile alla sua evoluzione e alla sua crescita di civiltà”.

Marco Antonini