VICE CAPO DELLA POLIZIA E PREFETTO IN COMUNITA’ – di Don Aldo Buonaiuto

È stata una visita toccante, fuori dalla paludata ufficialità che a volte accompagna le istituzioni. Toccare con mano la disperazione di chi è stata vittima della tratta, guardare dentro agli occhi dei giovani rifugiati e intuirne la sofferenza è qualcosa che ti segna nel profondo. E così è stato, a margine del convegno sulla legalità che si è tenuto ad Ancona promosso dal ministero dell’Interno. Il vice capo della Polizia, prefetto Matteo Piantedosi, ha infatti espresso il desiderio di poter incontrare le vittime della tratta accolte presso la comunità Papa Giovanni XXIII, e i profughi ospitati dalle strutture dell’associazione Pace in Terra onlus, nella diocesi di Fabriano, entrambi coordinate dal sacerdote don Aldo Buonaiuto, anch’egli relatore del meeting. Insieme al vicecapo della polizia c’erano il prefetto Raffaele Cannizzaro della provincia di Ancona, il questore Oreste Capocasa, Maurizio Carbone, segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati. Con loro anche i procuratori capo di Teramo, Macerata e Fermo, insieme ai Comandanti regionale dell’Arma dei Carabinieri e della Finanza. Presente anche il Vescovo. Arrivati in comunità il vicecapo ha salutato una per una le ragazze accolte, ha ascoltato le loro storie, si è fermato.  Una di loro ha raccontato il dramma di come è stata portata in Italia con l’inganno; nigeriana, studiava informatica e le avevano promesso che se avesse lasciato il suo paese natale per l’Europa avrebbe trovato lavoro in un’azienda. Invece, una volta partita, si è trovata nelle mani di trafficanti senza scrupoli che l’hanno seviziata e poi usata come merce da marciapiede. Non c’era possibilità di fuga, niente documenti, una lingua ostile. E la paura di ritorsioni verso i familiari. Altre ragazze hanno esperienze diverse ma drammaticamente simili: stupri, botte, sevizie, mutilazioni fisiche. Donne strappate all’innocenza della gioventù, spesso appena adolescenti, e catapultato nell’orrore più assoluto. Per questo molte di loro, oltre ai segni sul corpo, ne hanno altri ben più gravi nell’anima, che a volte sfociano in disturbi psichici gravissimi. Storie che si ripetono incessantemente, ben lontano dalla vulgata popolare per cui queste ragazze “scelgono la bella vita”. Di bello non c’è assolutamente nulla, solo paura e dolore. Prima di congedarsi, Piantedosi ha ricevuto in dono un rosario fatto a mano proprio dalle ospiti della comunità. Poi si è andati a visitare i profughi. I loro occhi, colmi di riconoscenza, hanno emozionato. Gli stessi migranti hanno dato il benvenuto ai visitatori con parole toccanti, quasi un inno alla bontà dell’Italia. Anche lì storie terribili. Un ragazzo proveniente dal Mail, 21 anni, è fuggito dalla guerra civile ha raccontato la sua odissea in Libia. Sperava di trovare un posto sicuro, lontano dalla violenza quotidiana, e invece ha trovato una situazione peggiore: torture, vessazioni di ogni tipo, fino all’agognata fuga. Particolarmente intenso il momento in cui ha definito don Aldo “un secondo padre”. La giornata è trascorsa così, dunque, in un turbinio di emozioni sovrapposte. Alla fine il vicecapo della polizia, dottor Piantedosi, ha ringraziato don Aldo per l’opera instancabile che lui e tutta la comunità fa per gli ultimi, si è compiaciuto per la qualità dell’accoglienza offerta alle vittime e, insieme al Questore, ha ricordato la figura e l’opera del fondatore dell’associazione Papa Giovanni XXIII, don Oreste Benzi. Dall’incontro con persone sole ed emarginate, don Benzi fu un pioniere nel pensare all’idea della Casa-famiglia; la prima struttura fu nel luglio del 1973. La Comunità, seguendo il suo stile, ha scelto, come caratteristica visibile, la “condivisione di vita con gli ultimi”, ossia andare oltre l’assistenza e lasciare che la presenza degli ultimi modifichi la propria vita, vivendo sotto lo stesso tetto, senza tenere per sé alcun privilegio. Oggi, ad oltre 40 anni di distanza, grazie all’opera di persone con don Aldo, quel messaggio è più che mai vivo.

d.a.b.